Camilleri e Ceronetti
Guardo la mia luce che muore… è l’unica risposta che un saggio vi darà in età molto avanzata quando gli domanderete testimonianza. Nel giro di pochi mesi sono mancati Guido Ceronetti, a 91 anni, e Andrea Camilleri, a 93. Ebbene, alla pressoché totale indifferenza che ha accompagnato il viaggio del primo, si è registrata una straripante esibizione pubblica di cordoglio a scortare il secondo, investito di aura cristologica e chiamato perlopiù Maestro. Sorvolando sugli aspetti più intimi dell’uomo, che non conoscevo e che mi impongo di non inferire dalle oppugnabili prese di posizione politiche, la distanza intellettuale che separava Ceronetti da Camilleri era più ampia di quella che ha separato le rispettive eulogie. Per il primo l’oblio, per il secondo la gloria. Perché? La gloria non è altro che la capacità di intercettare l’imbecillità dei tempi? Non sarei così sbrigativo. Credo comunque che Camilleri sia stato il perfetto campione di un tipo umano, che tante volte abbiamo descritto in queste pagine. Tipo umano che vede nella cultura qualcosa di decorativo, da indossare, un accessorio pronto da portare: si può scegliere un foulard, una borsa e un libro di Camilleri. Che garantisce l’esibizione di un impegno senza richiedere impegno alcuno.
In questa vicenda di afflizione mediatica vi è tuttavia un elemento supplementare e centrale, che tante volte abbiamo discusso, con gli amici Valentina, Franz e molti altri. Manca, al pensiero sapienziale libero, il marketing culturale, che è esercitato esclusivamente dalla serva controparte. Perché il pensiero libero lo rifugge, lo esecra. Quando mi dicono: «saresti anche bravo, ma non ti sai vendere», pensano di denigrarmi. In realtà sbagliano il verbo servile, perché servi sono e non mi denigrano affatto. Purtuttavia, sottolineano La questione. E’ necessario, urgente, opporsi al nulla, alla demenza che irrompe dove arretra o è assente il pensare, ai sinistri gangli di un dominio che dalla fine del Fascismo ha edificato l’imperialismo di un non-pensiero tecno-consumistico, fintamente umanitarista perché irriducibilemente antiumano, che nessun totalitarismo era mai stato capace di produrre. «Ma come fare se i sistemi scolastici più progrediti, i meglio come i peggio funzionanti, sono già in varia misura in suo potere? L’insegnante non contaminato trova il terreno occupato da qualcosa di soverchiante. Tutte le scuole organizzate in istituti si vanno a poco a poco configurando, adunata di arresi, come scuole, apparentemente libere, di suicidio mentale, vedo le loro pacifiche mani arrivare a toccare di nascosto i ramificati artigli delle scuole di terrorismo sacrificale. Quando sento parlare della funzione universitaria, di mera preparazione dei giovani in vista dei posti aziendali e professionali, mi pare incombente anche lì la nera sagoma di chi insegna a far scattare sul proprio corpo il dispositivo della strage suicida. Non sarai fatto a pezzi materialmente: lo sarai mentalmente, spiritualmente, e il tuo premio di paradiso sarà una rendita adeguata, l’illusione di muoverti senza manette sprofondato in un’oppressura disgregante, da cui non potrai più uscire. Il Nulla non è nei videogames e nelle discoteche: nel 1830 Georg Büchner scrisse, nella tragedia sulla morte di Danton: das Nichts, il Nulla «è il Dio che sta per nascere»… Quasi duecento anni dopo si può considerarlo universalmente cresciuto. Ma se l’insegnante è innanzitutto filosofo per se stesso, non troverà inesplicabile quanto gli succede e che lo impressiona dolorosamente: vedrà l’impero del Nichts, il Dio Tecnica heideggeriano nella sua onnipotenza, vedrà i confini del Nulla estendersi fino ai confini del mondo, e con la parola di un profeta, il lontano Isaia: “un Resto tornerà” si fabbricherà un’isola di rifugio. La filosofia, sempre i suoi maestri l’hanno saputo, non è ugualitaria. In una classe di trenta allievi ce ne può essere uno segnato per accoglierla, o neppure quell’unico. I pochi esistono: certo non è facile scoprirli, radunarli. Dai molti, dai più, ricavi scherni. Neppure compunzione ipocrita, rispetto finto: rivolte, scherni, ostilità aperta… E di questo Michael Smadja è consapevole: accenna all’inevitabilità di riservare la filosofia ad una élite “come nel Medioevo”, ai rari meritevoli di apprendere l’Inutile, di comprenderne la bellezza».
Scrissi di Ceronetti in La città violata quando era ancora al mondo. Non mi macerai nel cordoglio per la sua morte. Non lo celebrai con messaggi commossi. Io mi sarei dovuto violentare, lui avrebbe detestato, come avrebbe detestato lagne al suo funerale e femministe senza sottane. Invece il promoter dell’industria culturale, il soldatino o la cheerleader del dominio… si vestono a lutto affinché la loro parata esistenziale sia la più magniloquente possibile, il loro schieramento più evidente. E si ammassano dove individuano la forza del collettivo dominante: a sinistra. Per separarsi e proteggersi dalla massa di chi credono essere i dominati, i subalterni: a destra. E per esibire ciò che non possiedono e segretamente invidiano: il pensiero. Quando entro in collisione con queste buffe e tragiche creature trovo sempre esemplare fingermi il perfetto troglodita che loro sognano di trovare. Non per un più sottile piacere della vanità – il fingersi imbecilli è delizioso – ma per osservare come si eserciti la cieca tirannia del collettivo. Loro, accoglientisti, tolleranti, dalla parte degli ultimi, non hanno alcuna pietà per te che non sai. Non ti invitano con gentilezza a scoprire quei mondi meravigliosi di virtute e conoscenza che loro abitano; sono piuttosto pronti a buttarti a mare mentre cerchi di salire sulla loro barca, anche se annunci di non saper nuotare, anche se chiedi un permesso di soggiorno per motivi umanitari: loro vogliono guardarti annegare. Se poi riaffiori, e, ponendo fine alla farsa, ti lasci andare a qualche disinvolta bracciata… allora diventano famelici barracuda con denti di merluzzo, fanno banco e cercano di divorarti.
In questi giorni di accascianti peana per il pur rispettabilissimo Andrea Camilleri, mentre i quasi pensanti ciarlano di Maestri, di intellettuali padri della patria, di cultura, di sapere, mi immagino quel Sapere osservarli come il Pappagallo di Palazzeschi: La gente passando si ferma a guardarlo, si ferma parlando fischiando e cantando, ei guarda tacendo. Lo chiama la gente, ei guarda tacendo.