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Quando si verifica un atto di barbarie che coinvolge qualche esotico convitato, il gretto sovranista in genere tuona: “Se solo certe brutalità si riversassero provvidenzialmente sulle corna degli accoglioni!”. Malauguratamente, la dissonanza cognitiva che affligge queste buonanime attiva processi di rielaborazione tali da far prendere con filosofia anche una mazza chiodata sui denti, pur di non guardare negli occhi la propria devastante imbecillità. E così è stato. Qualche giorno fa, il garrulo e vegeto Manaf, 24enne originario del Togo, si è reso protagonista del pestaggio di due donne nel sottopasso della stazione di Lecco. Il video – che sconsiglio ai più impressionabili – lascia “turbati”. La vittima della seconda tranvata si chiama Elena, 56 anni, ed è un medico neurologo. Finita all’ospedale con una vertebra incrinata, la signora ha avuto la forza d’animo e la presenza di spirito – straordinarie, viste le circostanze – di essere immediatamente precettiva sulle pagine multimediali del Corriere della Sera: «Il disagio psichico non conosce le razze; niente discriminazioni». Ora, al di là dell’excusatio non petita – benché sia facile immaginare il lubrico approccio dell’inviato – si apprezza in filigrana tutta la cancerosa consistenza del disagio ideologico. Di cui possono soffrire persino i medici neurologi. Benché espresso con una dotta locuzione da “competenti”, anche un gretto sovranista arriva vagamente a comprendere che cosa sia il disagio psichico e come possa colpire chiunque, incurante di razze e culture. Solo intercetta, con i metodi sbrigativi dell’empiria, tanto la significativa coincidenza fra disagi psichici e gente di provenienza esotica, quanto la bonaria faciloneria con cui si maneggiano tali disturbi proprio quando colpiscono il “povero negro”. Manaf non era arrivato con i barconi, certo; viveva in Italia da tanti anni. Ma da tanti anni era problematico. Mostrava segni evidenti di aggressività e sbalzi d’umore – come ricorda Bruno Corticoordinatore della comunità dove era stato accolto. Eppure era libero di pascolare in giro, gratificandosi l’uzzolo di sbatacchiare a terra come un polpo su uno scoglio finanche un medico neurologo donna. Medico neurologo donna che, malmenato con piglio poco femminista dall’energumeno, non ha sentito l’esigenza logico-razionale di chiedersi e chiedere al Corriere della Sera come mai questo squilibrato fosse libero di circolare e di prenderla a randellate… quanto piuttosto quella emotivo-ideologica di rassicurare le proprie convinzioni, riaffermando la Weltanschauung di regime – che le produce – con balsamiche parole di equanimità.

 

Poche ore dopo, a Torino, l’attrice Gloria Cuminetti veniva presa a cazzotti senza motivo da un “passante”. Il passante – come xenofobicamente notato da ogni gretto sovranista – era marocchino. L’assalitore è stato fermato in via Cecchi dai militari del Nucleo Radiomobile, chiamati da alcuni testimoni. All’uomo è stata diagnosticata un’agitazione psicomotoria e un abuso di cannabinoidi. Il disagio ideologico, anche in questo caso, non potrà fare a meno di rimarcare come l’agitazione psicomotoria e l’abuso di cannabinoidi non siano patrimonio esclusivo dei marocchini. E noi gretti sovranisti converremo. L’implacabile app della stampa certificata che in tempo reale annuncia urbi et orbi di aggressioni razziste da parte di fascio-leghisti, attestando derive xenofobe nel nostro Paese, ha parecchie difficoltà di connessione quando le violenze sono perpetrate da africani contro italiani. Il titolo di Repubblica è, a tal proposito, un capolavoro di inettitudine manipolatoria: «L’attrice Gloria Cuminetti aggredita per strada da un balordo. E gli haters si scatenano contro di lei». Se vuoi stigmatizzare l’odio dei “razzisti”, devi segnalare che il balordo è un africano; perché se celi che il balordo è africano, non rendi comprensibile il razzismo che vorresti stigmatizzare, pirla! Pur con la dappocaggine di prammatica, in questo caso il corto circuito si risolve dunque prendendo di mira gli “haters”, che avranno canzonato la sventurata Cuminetti per le sue posizioni accoglientiste, dirottando la sfera emotiva dall’odio persecutore del marocchino a quello satirico dei commentatori. Purtuttavia, siamo ancora determinati a consolare i tarati buonoidi, osando persino oltre: da ora in avanti andremo infatti a trovare tutti i disagiati ideologici che saranno vittime di esotiche aggressioni direttamente nei loro letti di dolore, approdando in quelle isole di tolleranza con una barca a basso impatto ambientale – magari l’Ong Malizia II di Pierre Casiraghi – carica di squisiti sentimenti e di altro disagio psichico africano da accudire. Perché il disagio ideologico conosce le razze e noi non vogliamo discriminare al posto suo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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