Il paradosso pavese: la minoranza vince
Il doppio turno è da sempre un totem della sinistra. Politici e intellettuali da decenni propongono il ballottaggio come sistema ideale per risolvere il problema dei problemi dei sistemi elettorali: come consentire la rappresentanza di tutti gli orientamenti e – allo stesso tempo – le condizioni per governi che possano decidere sorretti da una base parlamentare solida. Il problema vale a livello statale ma anche di amministrazioni locali. Da anni si continua a ripetere che il sistema elettorale dei Comuni ha funzionato bene e forse è vero. Se però non si vuole assumere come un dogma questa idea sarà bene verificare quel che è accaduto alle ultime Comunali, pochi giorni fa, complice il fenomeno massiccio dell’astensione.
Prendiamo il caso di Pavia (ma vale anche altrove). Al primo turno il candidato di Forza Italia Alessandro Cattaneo ha superato il 46%, prendendo ben 18.350 voti. Ha sfiorato quindi la maggioranza assoluta dell’elettorato, che si è recato alle urne con un’affluenza normale, fisiologica. Non avendo superato per alcune centinaia di voti il 50% però si è tornati a votare. Al secondo turno l’affluenza è crollata, passando dal 69 per cento al 55. E Cattaneo non ha riportato a votare tutti i suoi elettori, è vero. Ma cosa è accaduto? Che lo sfidante, Massimo Depaoli, ha ottenuto il 53% dei voti. Ma, se li andiamo a contare, quanti sono? “Solo” 17.068 voti. Insomma il nuovo sindaco di Pavia ha ottenuto meno voti di quelli raccolti dal suo avversario. Ciò non toglie che abbia piena legittimazione a indossare la fascia tricolore. Ma certo evidenzia l’effetto perverso che ha la combinazione di doppio turno e astensione. Il ballottaggio è concepito per aumentare la legittimazione elettorale, su cui dovrebbe confluire al secondo turno il consenso dei candidati minori. Al contrario in queste condizi0ni si trasforma in una competizione al ribasso che indebolisce prima di tutto il vincitore.