La sinistra milanese si dimentica Riccardo Lombardi
In un florilegio di commemorazioni e ricordi, il Comune di Milano sembra essersi dimenticato di un personaggio non da poco: il primo prefetto della città nel dopoguerra, Riccardo Lombardi, morto 30 anni fa esatti. Una dimenticanza non banale e non casuale. Rilevata dall’ex assessore Roberto Caputo, oggi voce critica del Pd, di cui è stato vicecapogruppo provinciale.
Orfano del padre, morto in Sicilia quando lui aveva solo 3 anni, Lombardi era nato a Regalbuto e aveva origini toscane. Ma a Milano lasciò il segno. Studiò al Politecnico di Milano, dove si laureò in ingegneria industriale, partecipò alla difesa del giornale “Avanti!”. Trovò lavoro come direttore tecnico presso la sede di Milano di una società tedesco-olandese di impiantistica chimica, che in pochi anni portò a diventare uno dei maggiori fornitori di tutta l’industria chimica italiana, allora in piena espansione. Partecipò alla Resistenza con incarichi importanti e condusse le trattative (fallite) per la resa incondizionata della Repubblica Sociale Italiana, durante l’incontro con Benito Mussolini e Rodolfo Graziani presso l’Arcivescovado di Milano. Fece parte del Comitato di liberazione Alta Italia, da cui alla Liberazione fu nominato prefetto e in seguito fu ministro dei Trasporti nel primo governo De Gasperi. Fu un personaggio di primo livello nel dopoguerra e lungo tutta la Prima Repubblica. Un nome da non dimenticare per una sinistra degna di questo nome. Lombardi infatti ebbe un percorso tutto suo, non privo di contraddizioni. Fu iscritto al Partito Popolare, poi al Partito d’Azione, fu anti-comunista, autonomista, poi a capo della sinistra interna al Psi in anni più recenti.
Insomma, una figura che può piacere o meno ma che la sinistra milanese non avrebbe dovuto sottovalutare, anche perché non abbondano certo i punti di riferimento presentabili per una sinistra Italia che voglia essere moderna e orgogliosa di sé. Tanto più avrebbe dovuto tenerlo ben a mente la sinistra di Giuliano Pisapia, che sta cercando (con scarso successo) una via tutta sua, stretto fra il renzismo (spesso considerato solo un “giovane Dc” e i massimalisti che provengono da esperienze ormai improponibili come quella di Rifondazione Comunista. Un’altra occasione persa per gli “arancioni” per dimostrare di essere qualcosa di diverso da una strana alleanza catto-comunista guidata da un avvocato gentile.