“Travaglio prigioniero di sé, non accetta il contraddittorio”
Travaglio, il glaciale Travaglio, il pungente Travaglio, sembra non reggere il contraddittorio. La prova si è avuta l’altra sera, con l’incredibile scena andata in onda dagli schermi di “Servizio pubblico” della 7. Si è tanto parlato del plateale litigio-divorzio con Michele Santoro, che forse ha sfogato anni di sentimenti repressi, forse non aspettava altro per far riaccendere i riflettori su un programma ormai appannato. Ma, ancor più del diverbio, ha colpito la “fuga” in diretta del vicedirettore del Fatto, che non ha saputo trovare le parole giuste per far valere le sue ragioni di fronte allo stesso Santoro e un altro ospite, il peraltro annaspante Claudio Burlando del Pd. A pensarci bene, non è la prima volta che accade. Una penna affilata come quella di Travaglio non si trova a suo agio nel contraddittorio in diretta, che rappresenta una condizione del confronto democratico – oltre che un principio su cui la moderna giurisdizione accusatoria fonda l’accertamento della verità. E non a caso in tv predilige il monologo.
Capitolo a parte sono le liti con Giuliano Ferrara. Ma lo si era visto in difficoltà in un duello, sempre sulla 7, con Daniele Capezzone, e più di recente, sempre sulla 7, stavolta ad Anno Uno, quando si era fortemente innervosito di fronte alla grinta di due ragazze, tanto da farsi scappare una imperdonabile gaffe: l’ormai famosa affermazione per cui la presunzione d’innocenza, prevista dalla Costituzione, sarebbe “un gargarismo”. Oggi una di quelle ragazze, Silvia Sardone, milanese e consigliera di zona per Forza Italia, ricorda: “Io in quel caso lo attaccai io e non si trovava a suo agio nel ruolo di accusato. Gli ricordavo un editoriale in cui stralodava Orsoni (sindaco poi coinvolto nel caso Mose, ndr) prima delle amministrative a Venezia. L’aver segnalato un fatto e non un’opinione lo mise in difficoltà. Io avevo anche ricordato che non poteva esimersi dal raccontare anche qualche scandaletto che aveva riguardato i grillini”.
Alla luce dell’ennesimo flop, Sardone riflette: “Sembra che Travaglio non voglia accettare, in alcuni casi, non solo il contraddittorio ma anche opinioni leggermente diverse dalle sue. Ed è un peccato perché, in fin dei conti, è un ottimo professionista. Ma l’antiberlusconismo militante lo ha cosi elevato a simbolo da caricarlo troppo. Ormai è un simbolo di una certa area politica e agisce esattamente come i suoi fan gli chiedono”.
Insomma, Marco Travaglio sarebbe talmente prigioniero del suo personaggio (il “giustiziere” per qualcuno, il “forcaiolo” per altri) da precludersi anche la possibilità di sorprendere, di evolvere come tutti, di uscire dagli schemi e dalle tifoserie, per essere – in definitiva – davvero un grande. E si rifugia così in un manierismo autoreferenziale e ormai scontato (anche se comunque molto redditizio in termini di notorietà). “Secondo me li avrebbe eccome i numeri – dice Silvia – Feltri lo ha definito il miglior giornalista italiano. Ma effettivamente è schiavo del suo ruolo di giustizialista e accusatore”.
AlGia