Milano come Londra, Sydney, Boston, Buenos Aires? Forse  la proposta della comunità cinese di Paolo Sarpi che ha proposto, in vista di expo, di istituzionalizzare la Chinatown meneghina con due porte di accesso al quartiere, fa discutere. non solo la comunità dei residenti, come è normale, ma li politico milanesi.

Così il vicepresidente del consiglio comunale Riccardo De Corato,  da sempre in contrasto con i grossisti cinesi, che vorrebbe scongiurare il pericolo  di trasformare lo storico  quartiere del centro di Milano in un sobborgo di Shanghai. “Durante la campagna elettorale, Pisapia andò dai residenti e promise loro che avrebbe risistemato il quartiere, regolarizzando e disciplinando commercianti e grossisti. Ecco come è andata a finire – tuona il capogruppo di Fi in consiglio regionale – la comunità cinese adesso si sente così forte da chiedere pure un dragone all’ ingresso della sua via. Paolo Sarpi deve già convivere con moltissime difficoltà, ci manca solo che diventi una zona isolata dal resto della città, in cui si entra addirittura passando per un arco della tradizione orientale”.  In sostanza, la porta dall’alto valore simbolico, rischierebbe di trasformare definitivamente Sarpi in un enclave cinese isolata.

Dello stesso parere  Ncd, con il coordinatore cittadino Nicolò Mardegan, che parla appunto di rischio di ghettizzazione. «Ho firmato la petizione dei residenti promossa dall’associazione Vivi Sarpi e come coordinamento cittadino faremo la nostra parte per raccogliere quante più adesioni possibili. Se l’obiettivo è dare al quartiere un ingresso decoroso in vista di Expo, il Comune sostenga il progetto alternativo presentato dall’associazione Sarpi doc, che propone una porta legata al tema di Expo assieme alla riprogettazione della ztl. L’idea di un marchio etnico è inaccettabile, tanto più visto che l’80% dei residenti è di origine italiana».

A sinistra c’è anche chi vede con plauso e come un’occasione di promozione turistica la porta cinese per expo. Luca Gibillini, consigliere comunale di Sel, sempre attento a ciò che accade nel resto del globo. «In tutto il mondo quartieri che naturalmente hanno caratteristiche particolari o di funzione (come le zone del divertimento o quelle ad ampio impatto etnico) sono riconosciute culturalmente e urbanisticamente e valorizzate di conseguenza. Significa riconoscere il ruolo di comunità e accettare la pluralità etnica di città che hanno l’ambizione di essere internazionali e accoglienti».

 

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