La demagogia costa più dei vitalizi
La demagogia costa più dei vitalizi. Lo si vedrà presto, nel medio periodo, appena questi giorni di ubriacatura qualunquista saranno un ricordo.
Le immagini le hanno viste tutti, ieri. Approvata la nuova legge sul trattamento degli ex deputati, fra Pd e “grillini” è partita una improbabile patetica gara a prendersi il merito del provvedimento, mentre l’approvazione in aula è stata salutata dallo spettacolo degli abbracci ostentati di aspiranti leader e dell’esultanza affettata dei capipopolo. Al di là del merito, questa sceneggiata non fa che alimentare il mito di un Paese angelico depredato da una manciata di politici.
In Italia, intanto, secondo gli ultimi dati in sei mesi nel 2016 sono state liquidate 15mila nuove pensioni a persone con meno di 54 anni. Quest’anno poco meno. Sono le famose baby pensioni, quelle per cui si è arrivati a mandare in pensione una donna a 29 anni. Ma è solo un esempio. Le baby pensioni esistono ancora, come ancora esistono gli sprechi, a tutti i livelli. Eppure, i 5 Stelle indicano nella battaglia “anti-Casta” l’unica, unica ragione della loro attività istituzionale. Proprio oggi Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, ha dichiarato che l’abolizione dei vitalizi è “l’unica cosa su cui siamo concentrati”, “far approvare anche al Senato il grande successo approvato alla Camera, la legge sui vitalizi”. “Capite la nostra felicità” chiede pubblicando la foto del trionfo (che poi sarebbe il sì alla legge che porta il nome del renziano Matteo Richetti, esponente del Pd che cerca di rincorrere i grillini sul loro campo). “C’è tanto altro da cambiare” aggiunge Di Maio. E cosa cita? Il “dimezzamento degli stipendi dei parlamentari (come già facciamo noi del movimento 5 stelle)”, le “pensioni privilegiate”, “le auto blu”.
Intanto, per fare un altro esempio, il trasporto locale a Roma (città che i 5 Stelle amministrano da un anno) è sull’orlo del fallimento anche a causa dell’assenteismo (il tasso è arrivato al 12% fra conducenti e macchinisti, fa 700 assenti ogni giorno, ed è giusto notare che fra Atac, Ama, Acea e Comune di Roma siamo sull’ordine dei 60mila dipendenti). Eppure, secondo quanto si riferisce a Roma, in bilico ci sarebbe l’incarico di chi ha denunciato questa situazione prefallimentare, il direttore generale Bruno Rota, arrivato nell’azienda del trasporto pubblico romano appena ad aprile scorso dopo 6 anni alla giuda dell’Atm di Milano. A far precipitare la situazione, le interviste in cui Rota ha denunciato l’assenteismo e lo stato critico dei conti aziendali. A quanto viene rivelato, domani in giornata porrebbe arrivare una decisione della sindaco Raggi, che non avrebbe gradito le esternazioni del manager.