Il fatto che l’intitolazione di una via a Giorgio Almirante, a Verona, abbia coinciso con la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, rende tutto più complicato, e certo non si possono mettere sullo stesso piano, storicamente, un torto e una ragione. Ciò premesso, si può forse provare a ragionare, andando oltre il corto-circuito della cronaca.

Nessuno come la senatrice a vita Segre, oggi, ha l’autorevolezza e la forza per unire, e quindi per riconciliare l’Italia con se stessa. Certo, non è pensabile che Liliana Segre si riconcili col Fascismo o con le infami leggi razziali, o che riabiliti quell’oscuro redattore della “Difesa della razza” che è stato il giovane Almirante. Sarebbe ingiusto per noi, prima che per lei. Allo stesso modo non si possono e non si devono legittimare gli attuali, patetici nostalgici del Regime.

Cosa ben diversa, però, sarebbe riconoscere un pezzo della destra che viene dal Msi e che da quella pagina orrenda del razzismo fascista ha preso chiaramente le distanze, fino a condannarla nettamente. Si tratta di valorizzare quella condanna, che c’è stata, riconoscendo quel percorso che dal post-fascismo, tenendosi alla larga dagli estremismi, ha condotto alla democrazia, al “gioco” delle istituzioni parlamentari, e oltretutto a posizioni apertamente filo israeliane.

Non si può dimenticare che Marco Pannella, il radicale, il nonviolento, l’antifascista che metteva in guardia dal “fascismo degli antifascisti”, invitato al tredicesimo congresso del Msi-Dn, il 20 febbraio 1982 andò a dire a quella platea: “Il fascismo non è qui!”, suscitando nella sala un evidente imbarazzo che Almirante stesso dovette risolvere assicurando che invece no, il fascismo era lì. Era chiaramente un artificio retorico, propaganda, e in ogni caso già da molti anni, lì, di quell’antisemitismo non c’era più traccia, e questo potrebbe confermarlo e spiegarlo meglio chi – meglio del sottoscritto – conosce bene la storia di quella destra. Nel 1967 Almirante già spiegava che quell’antisemitismo era “completamente superato, per ragioni umane, per ragioni concettuali”. Lo disse con rigore e pudore, mentre altri, anche a sinistra, praticarono l’infingimento e il silenzio opportunista.

Questa storia andrebbe riscoperta in pieno. Questa, andrebbe riconosciuta e rispettata. E meriterebbe un riconoscimento. Ignazio La Russa l’ha ricordata bene ieri, ricordando che la destra “figlia di Almirante ha “più convintamente e decisamente di tanti altri  condannato senza se e senza ma le leggi razziali e qualunque discriminazione razziale”. Nel Consiglio regionale della Lombardia, due giorni fa, Viviana Beccalossi ha detto ad alta voce: “Alle leggi razziali guardo con orrore”. In una recente intervista al Giornale, Riccardo De Corato ha spiegato: che “Almirante prese le distanze, fu una brutta pagina che mai né il Msi né An hanno mai condiviso, l’abbiamo denunciata come la peggiore della nostra storia e non abbiamo mai avuto problemi a dirlo nelle piazze, nei congressi, sempre”. A sinistra c’è (stata) un’onestà intellettuale paragonabile a questa, sugli orrori del Comunismo e le complicità della sinistra italiana?

La questione è ovviamente delicata, da non affrontare con l’accetta, ma la riconciliazione – nella verità – alla fine rafforza tutti e rafforza la democrazia. Offrire una mano tesa, un gesto di dialogo, avrebbe un valore storico. Le contrarietà ci sono, anche comprensibili, ma il tema-antisemitismo non dovrebbe essere usato con l’intenzione di dividere ed escludere, e soprattutto non ha titolo per farlo chi, a sinistra, finge di non vedere il problema delle vie intestate a Stalin, che fu ferocemente antisemita, e ai suoi complici politici, anche italiani.

L’antisemitismo è una piaga, e non si può accettare che venga maneggiato con strumentalità e disinvoltura da chi intende solo mettere in difficoltà la destra o la Lega, che peraltro oggi è il partito più filosionista d’Europa, ha fatto approvare una mozione sacrosanta contro il boicottaggio di Israele – la mozione Senna – e da molti viene vista non come uno spauracchio ma come un argine nei confronti dei nuovi pericoli, che oggi in Europa e al di là delle Alpi, non vengono da destra ma dal fanatismo religioso islamista.

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