Roberto Benigni? Un furbetto che ha usato il Cantico dei cantici e distorto il vero significato della Bibbia. Parola di esperti.

Si parla ovviamente della performance di pochi giorni fa al Festival di Sanremo. Il discusso e verboso show del comico toscano, si sa, ha suscitato reazioni contrastanti: ha fatto sbadigliare molti anche fra i suoi estimatori, ha incantato una gran massa di tifosi, ma sembra non aver convinto gli esperti di sacre scritture. Almeno, non ha convinto per niente Ignazio La China, vicario della Curia di Noto, che lo ha definito in pratica “un furbetto che sfrutta l’ignoranza della gente”, e non ha convinto minimamente Vittorio Robiati Bendaud, coordinatore del tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, studioso e docente di teologia e storia dell’ebraismo.

Il verboso monologo sanremese di Benigni non è arrivato inaspettato: l’ex “piccolo diavolo” da anni ha dismesso i panni del comico irriverente e anarchico, per cimentarsi con la poesia e col sacro, con esiti discutibili ma con ottimi riscontri politici e mediatici. Su questo il giornale “Tempi” ha pensato bene di sentire il parere di Bendaud, un intellettuale importante dell’ebraismo italiano, già allievo di Giuseppe Laras, rabbino a lungo figura di riferimento degli ebrei italiani. E Bendaud non si è fatto pregare. Ha definito l’esibizione di Benigni “irritante e nauseante“, e ha parlato di “un uso aggressivo e strumentale del testo biblico contro il testo biblico”, “come se il Cantico fosse la parte bella e buona della Bibbia, in mezzo a tanti racconti brutti e malvagi”. Bendaud, inoltre, ha ricordato all’evidentemente ignaro Benigni che la Bibbia non è “scritta in inglese” e fa riferimento a una semantica e a una storia, quella ebraica passata e presente che “ha una vastissima produzione letteraria erotica in lingua ebraica e araba, scritta sovente in età medioevale e rinascimentale da insigni rabbini che erano al contempo teologi e mistici”. “Sa Benigni – ha chiesto – quante storie d’amore sono raccontate nella Bibbia? Pensi a Isacco e Rebecca, ad Abramo, Agar e Sara, a Giuda e Tamara. Morale: “La sua è stata una ricostruzione ideologica, falsante, trita ed esausta.

Altro problema, sollevato dall’ottimo intervistatore, Emanuele Boffi, “Benigni ha anche detto che il Cantico non doveva essere inserito tra quelli biblici”. La risposta è glaciale. “Sì, ma per la ragione opposta a quella che ha spiegato lui”. “La cosa grandiosa non è che il Cantico sia riducibile e una poemetto erotico, ma che si sia ritenuto, per descrivere il rapporto di Dio con il creato e con il popolo ebraico, che non vi fosse nulla di sufficientemente nobile e ricco oltre all’erotismo e alla fisicità umana. La critica, o l’accusa, è insomma di avere frainteso o manipolato il Cantico, espellendo il sacro, il mistero, Dio, esaltandolo come una sorta di “Bacio perugina scritturale” (virgolettato nostro) in cui conta solo l’amore, “tra uomo e uomo, tra donna e donna, tra donna e uomo”. Bendaud lo definisce “l’altro grande inganno”. “Il Cantico – spiega – non parla d’amore in modo generico. Sta parlando invece esattamente e precisamente del rapporto monogamico eterosessuale perché, a detta del testo, è solo nella coppia monogamica che il rapporto d’amore è elettivo, peculiare ed esclusivo. Quindi stiamo parlando di un rapporto tra diversi, uomo e donna (Dio e umanità/popolo ebraico) in cui ognuno dei due partner è esaltato e apprezzato nella sua irriducibile diversità. Questo – precisa – ovviamente, non significa squalificare altre esperienze di amore umano o negare che vi sia dignità e rispettabilità in altre declinazioni affettive e che ciò non costituisca una sfida oggi per l’ortodossia delle tradizioni religiose”. L’intervista prosegue, sempre più interessante, e dedica un passaggio anche a “La vita è bella”, film premio Oscar che raccontava come una sorta di favola i campi di sterminio. E Bendaud liquida il “capolavoro” citando Liliana Segre: «Un filmetto senza pretese nella prima parte – ha detto la senatrice a vita – terribilmente falso nella seconda». “Per quanto riguarda Dante – aggiunge il teologo – ho l’impressione che Benigni sia molto scaltro. Ha capito che la tradizione ebraica e cristiana, anche se spesso negata e avversata, è ricca di capolavori, che ebrei e cristiani se ne rendano conto o meno.

Il discorso di Bendaud è piaciuto a molti, anche perché è parso una sorta di liberatorio e coltissimo grido: “Il re è nudo!”. Insomma, ha dato giudizio alto ma sincero, e scevro dagli obblighi del politicamente corretto che incartano molti altri commentatori, specie di parte cattolica. Molti hanno manifestato apprezzamento in privato, e qualcuno lo ha fatto in pubblico: è il caso di Ignazio La China, vicario della Curia di Noto, che ha scritto una lettera, sempre a “Tempi“, per dirsi d’accordo con Bendaud: “L’operazione fatta da Benigni, nel presentare il Cantico dei Cantici a Sanremo – si legge – è una azione da rigettare con tutte le forze. E ovviamente, non per quello che potrebbe sembrare a prima vista, cioè lo scandalo di aver citato scene a forte connotazione erotica”. “Solo chi non conosce la Bibbia si sarà meravigliato di questo –  prosegue il prelato –  perché ci sono altri passi in cui il linguaggio dell’autore è altrettanto “spudorato” per franchezza e plasticità di immagini”. Ecco l’altro punto in questione: la presunta censura operata dalla Chiesa, che schematicamente presentata come l’ovvio riflesso di una congrega sessuofobica di fronte a un testo erotico. Niente di più banale: “La Chiesa – ha spiegato La China – ha così censurato il Cantico da farlo proclamare come prima lettura nel rito del matrimonio e la Sinagoga ha così censurato il Cantico da farlo leggere nel giorno di Pasqua! E sarebbe ora di dire che il cristianesimo non ha paura della carne, anzi”, “chi pensa alle belle anime e non ai corpi non è cristiano, è gnostico: che lo si sappia”. “Ecco perché l’operazione di Benigni è subdola: perché ha voluto insinuare che la Chiesa è la solita oscurantista di sempre, che nega la bellezza dell’amore sponsale. E il nostro comico lo ha fatto fra l’altro suggerendo di stare leggendo da un testo che non sarebbe quello contenuto nelle edizioni ufficiali”.

E non è tutto: “Per me – ha proseguito il sacerdote – lo scandalo più grave è ancora un altro: che pur di addossare tutte le colpe alla Chiesa Benigni ha strappato il Cantico al suo legittimo proprietario che è Israele, e vi dico il perché. Perché è lui, sì lui, che ha invece censurato il testo: perché l’invito della bella Sulamita ad aiutarla a cercare lo sposo non è rivolto genericamente a “figlie”, ma l’invito è rivolto alla “figlie di Gerusalemme”, cosa che lui ha deliberatamente omesso tutte le volte che ha citato il testo”. Insomma, Benigni avrebbe “reso così un canto, espressione della più alta spiritualità biblica (e quindi espressione della fede secondo la tradizione ebraica prima e cristiana dopo), un inno generico all’amore che, con un po’ di impegno un bravo poeta avrebbe potuto fare: ridotto così cosa c’è di diverso tra una poesia di Baudelaire o una di Garcia Lorca dal Cantico?”. E quindi? Quindi “furbescamente” Benigni avrebbe “portato a casa il suo mestiere”, strizzando l’occhio agli ascoltatori, suscitando in La China l’amara considerazione su “come sia facile abbindolare le persone sfruttando la loro ignoranza e giocando sui sentimenti e oscurando l’intelligenza“.

bendaud

Tag: , , ,