L’Isis attenta al Pride, ma per l’estrema sinistra il problema è Israele
Un possibile attacco al Pride di Vienna è stato sventato pochi giorni fa. Gli attentatori, tre giovani simpatizzanti dell’Isis. I tre sospetti, 14, 17 e 20 anni, sono stati arrestati un’ora prima dell’inizio della parata di sabato, a cui hanno partecipato 300.000 persone.
I tre, cittadini austriaci di origine bosniaca e cecena la cui identità non è stata rivelata, si erano radicalizzati online. Uno di loro era noto alla polizia. I servizi segreti erano stati informati dei presunti piani. apo della Direzione generale per la sicurezza pubblica dell’Austria, Omar Haijawi-Pirchner, ha spiegato che i sospetti avevano messo in atto un piano di attacco della Parata arcobaleno nella capitale austriaca. La popolazione viennese non ha corso pericoli, dato che i tre attentatori sono stati arrestati prima che il corteo iniziasse, ma gli uomini della sicurezza hanno perquisito le abitazioni dei tre e trovato sciabole, un’ascia, pistole a gas e coltelli, come ha spiegato Haijawi-Pirchner.
La vicenda fa anche riflettere, accostata a un’altra: la notizia che l’estrema sinistra, anche in Italia, ha inteso escludere dagli eventi in programma per il mese dell’orgoglio omosessuale le associazioni Lgbt ebraiche (peraltro molti vive e radicate). Il motivo? Puro odio ideologico contro Israele.
Bisogna pensare che il movimento Lgbt in Israele ha una tradizione fortissima. Pochi giorni fa a Gerusalemme hanno sfilato 30mila persone. E la polizia ha fermato, in varie città, tre persone che avevano aver espresso «posizioni estreme» contro il movimento Lgbtq. Per la Pride Parade di Tel Aviv si parla della «parata più grande di sempre». La «città che non si ferma mai» è ormai simbolo globale di uno stile di vita vivace, cosmopolita e «gay-friendly», vale a dire inclusivo, aperto e amichevole nei confronti delle associazioni di omosessuali e transessuali.
Eppure per le voci irriducibilmente ostili a Israele e all’Occidente, quindi per l’estrema sinistra e gli ultrà filo-arabi, si tratta solo di «pinkwashing», ovvero di campagne che tenderebbero a dipingere come moderno, progressista e libertario uno Stato ebraico che invece – ai loro occhi – si macchia di terribili colpe nei confronti degli arabo-palestinesi.
Ecco l’ostilità per Israele. Il tema dell’islamismo non sembra sfiorare nessuno. Il problema sono le sigle Lgbt israeliane. Ed esistono gruppi e sigle nate allo scopo di delegittimare e boicottare questa immagine di Israele come culla dei diritti civili, e con la malintesa intenzione di difendere i palestinesi.
In realtà, è sono le dirigenze politiche arabo-palestinesi, laiche o integraliste, che opprimono i palestinesi. I pochi omosessuali dichiarati che vivono nelle città palestinesi sono perseguitati, da Hamas (retrograda sezione locale dei Fratelli musulmani) incriminati con vari pretesti e costretti a vivere nell’ombra; spesso sono cacciati dalle famiglie o fuggono perché minacciati nella loro incolumità fisica, e non di rado vengono accolti proprio in Israele. Pochi mesi fa anche «Il Manifesto» ha raccontato il «brutale omicidio a Hebron di un giovane gay palestinese, Ahmad Abu Marakhia, 25 anni, compiuto da sconosciuti. Il suo corpo, mutilato, è stato abbandonato nelle strade della città». Eppure, di questo nessuno di occupa. Si parla di Israele.
“Cacciare i sionisti” dal Pride è come cacciare dal 25 aprile la Brigata ebraica che ha contribuito a liberare l’Italia. Un corto circuito vero e proprio. Una follia.