Il Recovery Fund e l’ambientalismo ideologico – Intervista ad Arrigoni, responsabile energia della Lega
Allora, questi ultimi giorni li ho passati nella lettura di un libro fondamentale di questi tempi, Apocalypse Never, di Micheal Shellenberger. E’ un’opera che smonta, da un punto di vista progressista (perchè Shellenberger è apertamente Dem) tutte le contraddizioni dell’industria green e tutto l’hype che c’è intorno. Ed è sull’onda lunga di questo libro che ho sviluppato la chiacchierata con il Sen. Arrigoni, il responsabile Energia della Lega. Ovviamente si è parlato del Recovery Fund e della transizione green a cui i fondi europei sono legati.
Nel parere dato dalla commissione Ambiente del Senato, che servirebbe per indirizzare il Governo su come spendere i soldi del recovery, non c’è alcun riferimento a gas, al metano, agli idrocarburi. C’è addirittura la riduzione dei SAD, i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi, una roba che grida allo scandalo poichè siamo un paese che ha un trasporto ferroviario scarsissimo. Ora, a meno che da domani mattina non raddoppiamo le ferrovie per treni merci, com’è possibile che le società di autotrasporti che usano camion a gasolio possano andare avanti così?
Arrigoni, ovviamente, condivide e lui stesso ha fatto notare che al momento per l’autotrasporto merci e per il settore delle macchine agricole non c’è alternativa al gasolio. Però Arrigoni si è dovuto arrendere alla cieca ideologia del Partito Democratico, che però delle volte sembra più aperturista, e dei grillini. Arrigoni aveva anche proposto di contemperare la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale e non c’è stato anche in questo caso niente da fare. La maggioranza però – secondo Arrigoni – sembra però aver capito, almeno sulla carta, che il gas metano non può essere completamente escluso dalle politiche energetiche future, e che l’idrogeno – di cui si fa molto parlare – è ancora una prospettiva lontana dall’essere disponibile su scala industriale.
Stesse pregiudiziali ideologiche sulla questione della gestione dei rifiuti. Si fa sempre tanto parlare di “economia circolare”, fino al giramento di testa, ma poi come fa osservare Arrigoni se non si costruiscono impianti di trattamento dei rifiuti, soprattutto in certe parti del paese, come si fa a parlare di economia circolare?
Sulle energie rinnovabili, che sembrano la panacea di ogni male, gli incentivi – dice Arrigoni – stanno andando male, a dimostrare che c’è molto che non va, in primis il sistema degli iter burocratici per avere i permessi per realizzare i nuovi impianti. Sulle energie rinnovabili poi ci sarebbe da aprire un discorso molto ampio, che va a coinvolgere anche le fonti di energia fossili come il metano ed il carbone. Gli impianti rinnovabili, come ad esempio l’eolico ed il solare, hanno bisogno di un back up a metano o a carbone per cui nel momento in cui mancano o il sole o il vento entrano in funzione ed evitano che intere città, come tutt’ora succede in California, rimangano al buio. Ci sarebbero secondo Arrigoni alcune energie rinnovabili con alto potenziale – come il biogas, la geotermia ed il solare termodinamico – ma al momento ancora si attende il cosiddetto «decreto ministeriale Fer2», riguardante l’incentivazione delle rinnovabili sopra menzionate e che rappresenterebbero una base di partenza indispensabile per realizzare gli ulteriori miliardi di euro di investimenti aggiuntivi previsti dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC).
Tutto questo sistema sopra descritto, secondo Arrigoni, non fa che aumentare il costo delle bollette energetiche, di imprese e di famiglie. Ora quando si fanno queste osservazioni – continua Arrigoni – gli ultrà ambientalisti rispondono che si deve puntare sulla ricerca per sviluppare le capacità di accumulo. Al momento però le tecnologie di accumulo elettrochimico sono assolutamente inadeguate, poiché non danno un backup sufficiente, e soprattutto sono troppo costose.
Vi lascio però con una dichiarazione finale di Arrigoni, che da bene l’idea della confusione che alberga sotto i tetti governativi:
“Non bisogna raccontare le favolette a nessuno perché il rischio vero è che di questa montagna di soldi è debito pubblico che in qualche modo bisogna restituire e che si aggiunge ai 100 miliardi di debito pubblico che abbiamo già autorizzato per fronteggiare l’emergenza COVID, e che comunque, quando l’emergenza COVID terminerà, tra due, tre, quattro anni, bisognerà rientrare con enormi sacrifici che dobbiamo fare tutti, anche a quei settori industriali delle attività economiche che non beneficeranno di 1 euro dei soldi del recovery fund.”
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