Raccontami una storia. Non una di quelle dove tutti parlano e si insultano e ripetono le stesse parole, codificate, protocollate, balbettate come una litania, un esorcismo, una canzonetta orecchiabile canticchiata a memoria, sempre ossessivi, sempre carichi di rabbia e frustrazione. No, non voglio una storia come si fa adesso. Raccontamela come se fosse una storia antica, lontana, con la distanza che sospende i rancori, oppure una storia che va oltre gli orizzonti, che sposta lo sguardo al futuro, gravida, di speranza, di opportunità, di tutto quello che potrebbe accadere, di scelte coraggiose. Raccontami una storia vera, bella e che sa di buono.
Questo vorrei sentire da un lettore che forse ancora non c’è. Mi piacerebbe invecchiare con lui. Uno può sceglierseli i lettori? Forse sono loro che scegliono te, però puoi andare a cercarli, come quei viaggiatori raminghi e curiosi che non hanno paura di incontri occasionali, che sono aperti alla vita, all’uomo, ai destini che si incrociano agli angoli delle strade. Li trovi per affinità, per contaminazione, senza pregiudizi e distintivi. non li vuoi però arroganti e chiusi nelle loro certezze. Non vuoi quelli che ti dettano le parole, quelli che vogliono scrivere al posto tuo, quelli che ti applaudono solo se suoni la loro musica. Niente esibizionisti, quelli che non sono lettori, ma opinionisti mancati. I lettori che cerchi ti scrivono per chiacchierare o per scambiarsi idee e curiosità, magari perché non sono d’accordo, ma come compagni di viaggio in cerca di una rotta. Quelli che davvero non voglio sono la minoranza rumorosa di questi tempi, i meschini dittatori che sono diventati i padroni di giornali, televisioni e social network, quelli per cui i giornalisti, sottomessi sulla via dell’estinzione, continuano a scrivere, a coccolare, ad assecondare, con la disperazione di chi teme di scomparire e si aggrappa a questo popolo cieco e ossessivo che corre come una mandria verso il burrone della storia. Noi scriviamo per loro, ci specchiamo nelle loro urla, ripetiamo bestemmie e cori da stadio e nel frattempo perdiamo tutti gli altri. E’ come finire in un frullatore di idee, che giorno dopo giorno perdono sostanza, fino a diventare una poltiglia indigesta. La maschera che incarna questo corpo sfatto e rancoroso sono gli “haters”, i professionisti dell’odio, che si muovono in branco e colpiscono la preda isolata o quella grossa, perché famosa, perché convinti che dietro il successo o la felicità degli altri ci sia per forza qualcosa di losco. Gli odiatori si spacciano per testimoni e paladini della giustizia, ma che giustizia può esserci se nasce dall’odio? La grande paura è che alla fine siano solo gli “haters” a sopravvivere nella città dei lettori. E sopravvivono perché si nutrono e si abbeverano delle nostre stesse parole.
L’alternativa è un’incognita. E’ una scelta coraggiosa. E’rompere quel cerchio che da odio chiama odio. E’ il sogno, e la speranza, come una sorta di utopia senza effetti collaterali, perché non promette la perfezione, di un uomo che danni studia il mondo della comunicazione. Si chiama Massimo Marzi e a questa strada alternativa ci crede davvero. E’ l’autore di “BeneGiornale” (Armando editore), un saggio che è di fatto un manifesto contro la schiavitù che i mass media subiscono dai professionisti dell’odio. Marzi è un manager che da trent’anni si muove nel mondo della comunicazione. Il suo progetto è una rivoluzione copernicana, che va in profondità e si muove lungo una filiera economica e professionale. E’ il tentativo di guardare il mondo con occhi diversi, con una rete dove non si gioca a chi è più cattivo, ma in cui l’obiettivo non è il nichilismo ma il bene come valore, come investimento, come futuro. La missione è questa. “Tutto ciò che accadrà in Italia e nel mondo di buono, di bello, di giusto, di sano, di positivo, di esemplare… classificabile più genericamente nel concetto di “bene” non dovrà sfuggire alla rete attenta e qualificata di analisti/giornalisti pronti a raccogliere tutti i segnali buoni dell’umanità ed a metterli opportunamente in circolazione”. Non vuol dire “un giorno saremo tutti più buoni”, ma ridisegnare una città sfinita e disperata puntando su quello che un grande storico e intellettuale come Guglielmo Ferrero chiamava “lo spirito costruttivo”. E’ la vittoria dei sognatori sui cinici, sui distruttori, sui mercanti di odio, contro tutti quelli che scommettono sulla sconfitta dell’uomo.

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