La bilancia (storta) tra giustizia e ‘ndrangheta
È stata rinviata a martedì 17 giugno l’udienza che avrebbe dovuto tenersi oggi nel processo in appello sulle infiltrazioni del clan della ’ndrangheta Valle-Lampada in Lombardia che vede imputati, insieme ad altre persone, l’ex giudice del Tribunale di Reggio Calabria Vincenzo Giuseppe Giglio, l’ex consigliere regionale calabrese del Pdl Franco Morelli e il presunto boss Giulio Lampada, di cui abbiamo ampiamente parlato qui.
La quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano, infatti, ha respinto la richiesta di ricusazione del collegio giudicante del processo in corso, ma i legali di uno degli imputati hanno avanzato una nuova istanza. Il processo è stato quindi sospeso in attesa del nuovo giudizio sulla richiesta di ricusazione. Nella prossima udienza, fissata per il 17 giugno, è prevista la sentenza. Vincenzo Giuseppe Giglio e Morelli in primo grado erano stati condannati rispettivamente a 4 anni e 7 mesi e 8 anni e 4 mesi.
L’ex magistrato è accusato di corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento aggravato per aver agevolato le attività del clan, mentre il politico di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. Il presunto boss Giulio Lampada, che gestiva un business di slot machine in diversi bar di Milano, era stato condannato invece a 16 anni di carcere. Il sostituto pg milanese Laura Barbaini aveva chiesto la conferma della condanna inflitta in primo grado a Giglio, Lampada e altri 5 imputati.
Il caso del giudice Giglio aveva scosso il tribunale di Reggio e Magistratura democratica, di cui era esponente di punta. Troppo schiaccianti certe intercettazioni telefoniche in cui spifferava ripetutamente i segreti delle indagini per ottenere favori alla moglie. Andava ancora peggio con il gip di Palmi Giancarlo Giusti, che come regalino per i suoi favori voleva donnine e cene allegre al Brun di San Siro a Milano, vantandosi al telefono («Sono una tomba io, dovevo fare il mafioso, non il giudice»)
Nelle scorse settimane Giusti è finito nuovamente nei guai per i suoi rapporti con un presunto faccendiere di Vibo Valentia che sarebbe collegato con la cosca Bellocco di Rosarno, a cui Giusti avrebbe fatto diversi favori aggiustando alcune sentenze, almeno stando alle accuse della Dda di Catanzaro. Il 27 agosto 2009 Giusti al riesame di Reggio Calabria scarcerò dietro compenso alcuni esponenti dei Bellocco. Sarebbe stato il 49enne Domenico Punturiero, presunto faccendiere parente della potente cosca rosarnese, a ricevere 40mila euro dalla cosca proprio per darli a Giusti.
Francamente non conosco né il contenuto né i motivi della ricusazione, e non capisco perché i legali ne abbiano presentata un’altra visto che la prima è stata respinta. Mezzucci per prendere tempo? Ne dubito. Forse la “colpa” della corte è quella di aver in parte già deciso – in un altro procedimento – il destino dei parenti di Lampada nel processo al clan Valle. Per cui sarebbero “prevenuti”
Personalmente ritengo Lampada, l’imprenditore compagno di sventure di Giusti e Giglio in questo processo, un personaggio in odore di ‘ndrangheta ma di cui, ancora oggi, mi sfugge lo spessore criminale e la cui unica colpa sembra quella di avere un suocero ingombrante (il patriarca Francesco Valle, re degli usurai di Cisliano a quando dicono sentenze e ricostruzioni giudiziarie) con cui pare non andasse nemmeno d’accordo e un certo modo di fare tipicamente reggino soprattutto al telefono, quando si vantava con Morelli e prima ancora con Sarra. Quando si viaggia in quella zona grigia si paga tutto, anche il reato di telefonata.