La morte del boss malato e lo scontro sul 41bis
Non ci saranno funerali in stile Casamonica per lo storico boss di ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso detto vetrinetta ma la giustizia ha perso un’altra volta.
Il boss della potente cosca del Vibonese, storica avversaria delle famiglie reggine che compongono il Crimine e che comandano su tutta la ‘ndrangheta, è morto a 68 anni per un tumore nell’ospedale del carcere di Tolmezzo, a Udine, dove era recluso al 41bis nonostante le sue condizioni di salute.
Il suo caso, molto simile a quello di Bernardo Provenzano – che resta al 41bis perché «solo così può essere curato» – rischia di esplodere molto presto. Gli avvocati Leopoldo Marchese e Gianfranco Giunta hanno già chiesto alla Procura di Udine il sequestro della sua cartella clinica. Invano avevano chiesto i domiciliari per lo storico boss ma la richiesta di «un regime meno afflittivo del carcere, considerato il suo stato di salute» era stata rigettata. Mancuso era stato trasferito in ospedale dal carcere di Tolmezzo il 19 settembre a causa di una occlusione intestinale in malattia neoplastica avanzata, patologia che per il dirigente sanitario del carcere di Tolmezzo Carlo Malamisura, il direttore del carcere Silvia Della Branca e il reparto di chirurgia dell’ospedale di Tolmezzo non poteva essere adeguatamente trattata all’interno del carcere. Ma il gip distrettuale di Catanzaro, Carlo Ferraro, sulla scorta di una perizia medica, aveva rigettato la decisione del tribunale di Vibo Valentia di concedere i domiciliari.
Il questore di Vibo Valentia Filippo Bonfiglio ha disposto che i funerali di vetrinetta si celebrino in forma privata all’alba in forma privata, con la partecipazione dei congiunti più stretti e il divieto di cortei con auto o persone. La storica cosca ha rapporti molto stretti con la politica (secondo un’informativa dello scorso giugno il ras delle coop di Mafia Capitale Salvatore Buzzi aveva chiesto al clan di votare l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno alle Europee 2014), con i narcotrafficanti colombiani e con gli appalti, come recentemente ha rivelato l’operazione Quadrifoglio della procura antimafia milanese tra Rho e la provincia di Como su una speculazione edilizia con la classica variazione di destinazione d’uso del terreno per superare i vincoli di edificabilità e l’ancora più classica intestazione fittizia di alcune attività commerciali.
E come non ricordare la confessione del parroco vibonese che fece edificare il santuario dedicato alla mistica Natuzza Evolo, in odore di santità, costruito col calcestruzzo di una ditta suggerita proprio da vetrinetta. Che non era un santo, ma forse meritava di morire in un modo diverso. L’ho già scritto, e lo ripeto: non è accandendosi su un boss malato che lo Stato fa «giustizia».