Il Supremo, storia del boss che ha insanguinato la mia adolescenza
Una vita al servizio di un padrone, poi la ribellione e la successione. Il sangue degli ex amici sulle mani, la latitanza con la paura fottuta che quelli con cui dividevi anche il pane ti ammazzino. Letture colte e un fiuto per le persone. Segreti da custodire, luoghi inaccessibili come nascondiglio, vita grama e un potere di vita e di morte sterminato. Chi come me non conosceva fino in fondo la storia del boss di ’ndrangheta Pasquale Condello si divorerà il libro Il Supremo – Ascesa e caduta di un comandante del male di Andrea Ian Galli del Corriere della Sera e Giuseppe Lumia (Piemme), carramba con sconfinate palle nascoste sotto la divisa dei Ros.
L’educazione criminale di uno dei tanti (o pochi) Riina della ’ndrangheta, arrestato il 18 febbraio 2008 grazie a una capillare operazione di intelligence e di spionaggio vecchio stile, ha il merito di essere scritto meravigliosamente, con un rassicurante bollo «verità di Stato», e il conseguente demerito evidente di appiattire il finale su una verità giudiziaria forse troppo frettolosamente archiviata.
Perché è vero che Condello ha dettato legge in riva allo Stretto, prima da guardia del corpo dei De Stefano e da killer della ’ndrangheta primordiale con l’omicidio del Patriarca don Antonio Macrì «il 20 gennaio 1975 alle 5 della sera» poi come carnefice della seconda guerra di ’ndrangheta che ha insanguinato la mia adolescenza, quando passavamo i pomeriggi a caccia del morto di turno da guardare e da schernire. E di omicidi eccellenti e sanguinari il libro ne racconta a iosa, senza risparmiare neanche un truculento particolare.
Ma è altrettanto vero che la sua cattura non ha che scalfito l’organizzazione criminale ormai più potente del mondo, come se il Supremo fosse ormai un inutile simulacro da consegnare alle guardie solo per sfamare l’infinita sete di giustizia di una terra martoriata e abbandonata, una medaglia da appuntarsi al petto di uno Stato colpevole che come un padre assente concede ai figli – di cui si è dimenticato da tempo – il lusso di un costosissimo regalo inaspettato, one shot, tanto per marcare il territorio. La verità probabilmente sta nel mezzo, e forse merita di restare custodita per sempre dietro il rigore di una divisa a cui si obbedisce tacendo. Come Condello ha fatto, prima di diventare il Supremo.