Le mafie sono un argomento dannatamente serio, che va studiato. Approfondito. Su cui non basta esprimersi per slogan. «Sarebbe molto grave, un pessimo segnale se il governo non fosse qui», blaterava l’altro giorno a Milano il leader di sinistra Nicola Fratoianni tra una bandiera arcobaleno, una del Pd e una della Cgil, come a marcare un territorio, a rivendicare una verginità. Tirando per la giacchetta il centrodestra, vagheggiandone complicità generiche. Basta farsi un giro al Sud, ma anche nella rossa Emilia-Romagna o in Toscana, per vedere che la mafia è trasversale, sta con chi ha il potere, vota anche comunista quando serve, come ammise il boss calabrese Pino Piromalli a Klaus Davi e come raccontano molte inchieste, tranne alcune (vedi il caso Marco Mescolini, trasferito dalla Procura di Reggio Emilia per «incompatibilità ambientale») su Pd e n’ndrangheta su cui è sceso un colpevole silenzio.
Non c’è ancora una verità giudiziaria inattaccabile dietro le morti di magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o Antonino Scopelliti, anche perché alcuni pm continuano a dedicare tempo e risorse a inseguire fantasmi e fantomatiche trattative, infangando politici e servitori dello Stato innocenti, titillando un’antimafia sempre più in rottami che agita avvisi di garanzia come condanne definitive pur di accreditarsi come baluardo, mentre c’è chi negozia con i boss al 41bis qualche briciola di visibilità, come nel caso di Alfredo Cospito.
Altre verità di carta straccia sono servire per vendere qualche giornale e costruire carriere «politiche» a qualche magistrato, non certo per sconfiggere organizzazioni criminali come la ’ndrangheta che muovono palate di soldi – cash ma anche digitali, in chiaro e criptati – grazie alla complicità del sistema finanziario, popolato da rampolli col colletto bianco e la laurea con lode, che inquinano l’economia legale. Ecco, dire «la mafia non si combatte alzando il tetto del contante», come fa Elly Schlein, puntando il ditino contro il centrodestra, è sbagliato e pericoloso. Perché la mafia, anzi le mafie, ormai muovono milioni di euro attraverso i crediti fiscali generati dai bonus edilizi che Pd e M5s difendono a spada tratta: colpa delle alchimie contabili scovate faticosamente dalla Guardia di Finanza ma rese possibili da una serie di norme scritte male dai governi giallorossi, nelle cui pieghe si è insinuata la criminalità organizzata, come dimostra l’ultimo caso di Avellino. Perché le mafie comprano e vendono droga tramite bitcoin e cryptovalute che i governi di centrosinistra si sono ben guardati dal regolamentare. Perché è vero che i contanti sono una forma primaria di guadagno dalla cessione di piccole sostanze stupefacenti – reato che la sinistra non vuol vedere, di cui nega la pericolosità e l’effetto devastante sui nostri giovani – ma la Schlein forse ignora che esistono forme di pagamento digitale (di cui si è occupato anche il Giornale, con una documentata inchiesta giornalistica finita in Procura) che nascondono compravendite di droga o armi, aggirando bellamente le stringenti normative antiriciclaggio, che obbligano professionisti come avvocati e commercialisti a lavorare gratis come sbirri.
Dire come fa la leader Pd «non si combatte la mafia agendo per indebolire le tutele della legalità nel codice degli appalti» è fuorviante e soprattutto inesatto. Le strade che portano al tribunale fallimentare sono lastricate di lapidi di aziende sane saltate in aria, vittime innocenti della mannaia di sequestri cautelativo e interdittive antimafia, di uno Stato cattivo pagatore, di una malagestione dei beni confiscati. Se la Schlein vuole puntare l’indice, lo faccia davanti a una buona libreria.