I nove giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti affronteranno due casi che potrebbero cambiare la legge che vieta i matrimoni tra omosessuali. Si parte dalla causa “Hollingsworth v. Perry“, che mette in dubbio la costituzionalità del divieto dei matrimoni omosessuali in California, votato dagli elettori in un referendum del 2008 e conosciuto come “Proposition 8” (afferma che lo Stato riconosce come valido solo il matrimonio tra un uomo e una donna).  Seguirà un altro caso, “United States v. Windsor“, in cui a essere messo in discussione è il Defense of Marriage Act (Doma), la legge federale approvata nel 1996 che definisce il matrimonio esclusivamente come l’unione tra un uomo e una donna. Firmata dal presidente Bill Clinton, impedisce alle coppie omosessuali di avere accesso a benefit federali previsti per le persone sposate, per esempio su tasse e assicurazioni sanitarie. A far scoppiare il caso è Edith Windsor, vedova 83enne di New York, che chiede la restituzione di 360mila dollari in tasse di successione, pagate dopo la morte di Thea Spyer, sposata in Canada nel 2007, prima che fosse possibile sposarsi tra membri dello stesso sesso anche nella Grande Mela. Se avesse sposato un uomo la Windsor non avrebbe dovuto pagare quelle tasse.

La decisione sui due ricorsi è attesa per giugno. La novità importante è che per la prima volta il tema “matrimonio gay” viene preso in esame dalla Corte Suprema (quindi a livello federale): prima d’ora, infatti, era stato sempre considerato di competenza esclusiva dei singoli Stati, sia come legislazione sia come giurisdizione. La grande attesa nasce dal fatto che la decisione della Corte di Washington potrebbe introdurre delle novità giuridiche importanti, tutelando (oppure escludendo) un diritto costituzionale per i matrimoni tra omosessuali. Ma potrebbe anche accadere che la sentenza produca effetti solo sulla legislazione di un singolo stato e non su quella federale, escludendo quindi ripercussioni di carattere generale. Al momento, dunque, tutto può succedere.

Intanto è guerra di numeri. Ovviamente stiamo parlando di sondaggi. Secondo l’ultimo pubblicato da Washington Post-Abc News il sostegno alle nozze gay è al 58% (il più alto di sempre). La destra, però, contesta la fondatezza di questo dato e rilancia con un numero eloquente: su 34 referendum statali svoltisi sul matrimonio tra gay solo in tre casi ha vinto il sì. La battaglia va avanti, senza esclusione di colpi, sui talk show in tv, nelle radio e sui giornali. Ovviamente non mancano le piazze, dove si manifesta a favore dei pari diritti delle coppie, oppure a difesa della famiglia “naturale”.

Al momento sono nove (più uno) gli Stati che consentono i matrimoni tra persone dello stesso sesso: Connecticut, Iowa, Maine, Maryland, Massachusetts, New Hampshire, New York, Vermont e Washington, oltre al District of Columbia. Sono trenta gli Stati che li vietano nelle loro costituzioni; dieci  li vietano con leggi federali. L’unico a non aver legiferato è il New Mexico. Secondo uno studio del Williams Institute dell’Università della California (Ucla) sono nove milioni (su un totale di 314) gli americani che appartengono alla comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

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