L’italiano che insegna agli Usa: non morite di statalismo come l’Europa
C’è un italiano che sta riscuotendo successo negli Stati Uniti per i suoi discorsi accalorati contro le politiche stataliste e per il suo invito agli americani a non imitare l’Europa. Si chiama Luca Bocci, è un giornalista toscano di 42 anni. Da quattro lavora a Londra per un’importante agenzia video internazionale. Ex portavoce di Tea Party Italia, quasi ovunque negli States riceve standing ovations e le persone, dopo averlo sentito parlare, fanno la fila per stringergli la mano. Lui stesso è sorpreso da tanto clamore: “Non mi sarei mai aspettato niente del genere. Al massimo pensavo di essere solo una curiosità, una mossa pubblicitaria”. Ma è scattata una speciale alchimia: “Sentire un italiano patriottico fa impressione su un pubblico di destra, colpisce al cuore…”. Ovvio, lo stesso effetto non lo avrebbe avuto parlando a una platea democratica. Ma a lui questo non interessa. Ha nel cuore Ronald Reagan e per lui Obama sta facendo più danni della grandine. Quindi meglio passare oltre. Gli abbiamo fatto qualche domanda per farci raccontare la sua esperienza e capire meglio le ragioni del suo successo.
Negli Stati Uniti si parla di lei e dei suoi accorati appelli a non seguire il modello “socialista” europeo. Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
Sono stato chiamato per illustrare come le riforme al sistema educativo proposte per gli Stati Uniti con il nome di Common Core siano molto simili alle misure applicate negli ultimi 30 anni in Europa e come il loro sostanziale fallimento abbia portato a conseguenze disastrose sia per il tessuto economico che per la fibra morale e culturale dei paesi interessati. Nel nome dell’equivalenza di ogni cultura, tali stati hanno rinnegato le proprie radici ed illustrato ai propri figli solo i lati negativi della propria storia, educando intere generazioni al relativismo morale e culturale. Un paese che si comporta così non può che perdere il senso di sé, generando anche quel netto rifiuto da parte degli immigrati di seconda generazione. Come occidentali non possiamo permetterci che anche gli Stati Uniti commettano questo errore madornale.
Com’è nata l’idea del suo tour negli States?
Sono stato contattato qualche mese fa durante uno show radiofonico al quale collaboro da diversi anni. I conduttori mi hanno proposto di partecipare ad un paio di conferenze che stavano organizzando in Alabama nell’ambito della lotta alla riforma scolastica. Le richieste si sono moltiplicate col tempo, aggiungendo date su date. Al momento il tour prevede 14 incontri pubblici: 4 in Florida, 8 in Alabama e 2 in Texas. Ora mi trovo a Troy, ultima data in Alabama. Poi mi trasferirò ad Austin e terminerò il tour a Dallas.
Da cosa nasce questa sua battaglia politica? Perché ha deciso di farla negli Usa e non in Italia?
Aver scritto per anni di politica statunitense ed aver seguito molto da vicino la genesi e l’evoluzione del movimento dei Tea Parties mi ha consentito di conoscere molte persone coinvolte nella galassia grassroots. La crescente ondata bipartisan di rivolta nei confronti di questa controversa riforma, nata come tentativo di rimettere al passo con gli stati più performanti il sistema educativo americano e trasformatasi in una vera e propria galleria degli orrori, ha attirato la mia attenzione. La passione di così tanti genitori mi ha convinto a venire qui per testimoniare come in Common Core si ripetano nella sostanza gli errori che stanno causando così tanti problemi in Europa. Durante le conferenze sono presenti esperti americani estremamente preparati come Linda Murphy, protagonista della vittoriosa battaglia in Oklahoma per abrogare Common Core. La mia testimonianza avrebbe decisamente poco senso in Italia o in Europa. Le esperienze personali che racconto sono comuni a tutti quei milioni di studenti che siano usciti dalle forche caudine dell’educazione pubblica resistendo ai pressanti tentativi di indottrinamento al pensiero unico dominante. Queste storie sono preziose oltreoceano, visto che nessuno ha mai raccontato cosa succeda davvero in tante, troppe scuole pubbliche europee.
Ho letto che i suoi discorsi sono stati molto apprezzati… è davvero così?
La risposta del pubblico mi ha lasciato di stucco. Nei 25-30 minuti di presentazione non faccio che raccontare la storia di un paese, l’Italia, che nel giro di 30 anni è diventato l’ombra di sé stesso, passando da grande potenza emergente al ‘grande malato’ del Vecchio Continente e di come il costante calo della qualità dell’istruzione, testimoniato dai test standardizzati internazionali, abbia avuto conseguenze disastrose sull’economia, sulla cultura e sulla fibra morale di un popolo che solo mezzo secolo fa sembrava inarrestabile. La parte che emoziona e spesso commuove gli spettatori è la ‘chiamata alle armi’ per difendere l’eccezionalità degli Stati Uniti, l’unica nazione al mondo nata da un ideale, da chi, nato e cresciuto qui, sembra pronto a rinnegarne le radici per trasformarla nell’ennesimo, fallimentare, stato socialista all’europea.
Come spiega il suo successo?
L’Alabama è uno stato conservatore, ma nemmeno gli organizzatori si aspettavano una risposta del genere. Davanti ho persone, molte di loro ex militari, sui quali un messaggio patriottico ha sempre effetto, ma forse intuiscono che non è una sceneggiata, che amo davvero questo paese. La Pledge of Allegiance la recito senza imbarazzo, proprio perché gli ideali condivisi ti rendono americano anche se in tasca hai il passaporto italiano. Ed ho sempre gli occhi lucidi quando talvolta si canta God Bless America. Tanti mi hanno detto “sei più patriota te di tanti americani”. Questo è un popolo sofferente, che teme per il futuro del proprio paese e dei propri figli. Su un pubblico democratico questo discorso avrebbe un effetto ben diverso. Fatti, prove, che oltretutto non sarei in grado di fornire, avrebbero ben poco effetto su chi crede ciecamente alla propaganda democratica. Funziona la passione, la rabbia per il proprio paese decaduto, contro un sistema che spinge migliaia di laureati all’esilio ma soprattutto l’appello a non mollare.
Lei ha pagato tutto di tasca sua questa trasferta americana. Chi glielo fa fare? Solo passione o c’è qualcosa in più?
Grazie all’impegno delle decine di volontari che hanno organizzato questo straordinario tour, non mi sono dovuto far carico dei costi per alloggio, vitto e spostamenti interni. A seconda della raccolta fondi in ogni città, talvolta siamo stati ospitati nelle case degli organizzatori, altre volte in alberghi, spostandoci con le auto di volontari spesso chiamati in causa con poche ore d’anticipo. Mi sono offerto di pagare il viaggio dal Regno Unito per non pesare troppo sull’organizzazione degli eventi. I contributi offerti spontaneamente dagli spettatori, che certo non prevedevamo, riusciranno a coprire parte del biglietto, una dimostrazione di affetto e generosità veramente toccante, visto il clima economico certo non favorevole. Gli Stati Uniti sono straordinari anche per questo. In quanto alle ragioni, ho deciso di seguire il mio cuore. Il denaro speso per venire qui lo avrei comunque destinato ad una vacanza. Usarlo per portare il mio sassolino ad una lotta che considero sacrosanta è un sacrificio davvero minimo.
Cosa sono per lei gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti sono e saranno sempre un’idea che trascende i limiti di questo o quel governo. I presidenti, i membri del Congresso sbagliano spesso e volentieri, ma nessuna delle loro azioni potrà cambiare il fatto che fin dalla fondazione, gli Stati Uniti abbiano rappresentato quegli ideali di libertà personale, indipendenza, opportunità e responsabilità che nessuno in Europa o altrove ha mai voluto veramente imitare. Gli Stati Uniti sono, nel bene e nel male, un sogno fattosi realtà grazie al coraggio, all’intraprendenza e alla determinazione di milioni di individui che non hanno mai esitato nel combattere contro le peggiori dittature della storia. Milioni di persone ovunque al mondo possono dirsi americani perché condividono intimamente gli ideali alla base della Repubblica, anche se forse non avranno mai il passaporto statunitense. Nessuna altra nazione al mondo può dire altrettanto.
Come vede le prossime elezioni di Mid term negli Usa? Prevede un tracollo per i democratici? I repubblicani riusciranno a prendere la rincorsa per riconquistare dopo 8 anni la Casa Bianca?
Le incognite insite in questo ciclo elettorale sono veramente moltissime, tanto da rendere quasi impossibile ogni previsione. Sul risultato di novembre influiranno gli sviluppi della situazione internazionale sui teatri caldi del momento, il deteriorarsi del quadro economico in Europa e Asia ma soprattutto le tensioni interne al Partito Repubblicano tra l’ala ‘liberal’ e quella conservatrice. Quella guerra aperta che in tanti avevamo previsto già dal 2012 si è già scatenata in tutta la sua virulenza. Quando sono stato invitato a parlare in una riunione tra dirigenti dei Tea Parties locali ed un rappresentante della dirigenza statale del GOP, la tensione si tagliava col coltello. L’RNC sta impiegando somme ingenti per fermare la crescita delle componenti conservatrici e libertarie, provenienti da importanti lobby economiche, non ultime quelle che guadagneranno miliardi dall’implementazione di Common Core. La sfiducia nella dirigenza è ai livelli di guardia. Le voci che chiamano alla nascita di un terzo partito si moltiplicano, il che, ovviamente, spianerebbe la strada ad Hillary Clinton, che dopo il patto del 2008 con Obama, sarà senza ombra di dubbio la portabandiera democratica. La battaglia tra i 10-12 candidati repubblicani che si sono già chiaramente mossi rischia di far saltare la polveriera, specialmente se il sabotaggio dell’RNC verso i candidati conservatori e libertari costerà il fallimento della scalata al Senato, come molti temono.
Dopo l’America la sua campagna proseguirà in Europa?
Il mio messaggio è pensato esclusivamente per ispirare all’azione quei cittadini americani che non si sono ancora rassegnati a vedere la propria nazione ‘fondamentalmente trasformata’ in una brutta copia delle più stolide socialdemocrazie europee. In Europa non avrebbe molto senso.
E in Italia?
La situazione italiana è vicina al punto di non ritorno. Quando leggo ovunque degli assalti alla diligenza della spesa pubblica, delle faide tra questa o quella fazione composta da chi pretende di fare una vita da gran signore vessando chi si ostina a creare lavoro e fare impresa, sono sempre più convinto che il paese sia condannato. Le ricette liberali all’insegna della radicale riduzione dell’apparato e delle competenze del settore pubblico, accompagnata ad una altrettanto drastica riduzione delle imposte, sarebbero le uniche in grado di far ripartire la stremata economia italiana. Tutti però perdono la voce chiedendo più stato, più intervento, più espropri a chi produce per finanziare questo o quel parassita ben ammanicato. I liberal-conservatori come il sottoscritto hanno fallito su tutta la linea. Siamo anche noi responsabili del disastro prossimo venturo.
Progetti futuri?
Una volta rientrato a Londra produrre materiale di supporto a chi lotti contro questa disastrosa riforma dell’educazione e magari provare a smontare una dopo l’altra le baggianate colossali propinate dai media mainstream al pubblico americano su come vadano davvero le cose in Europa. Sarà sicuramente una goccia nell’oceano ma nei momenti di grave crisi ognuno è chiamato a fare la propria parte. Se poi altri gruppi volessero chiamarmi di nuovo oltreoceano sarò pronto a ripartire. Vacanze e fondi permettendo, ovviamente.