Conquistato il Congresso, rifilato uno schiaffone a Obama, i repubblicani riassaporano il gusto della vittoria. Ma per loro il cammino è ancora lungo. L’obiettivo vero, infatti, è riprendersi la Casa Bianca dopo otto anni. Che non sono tantissimi, a pensarci bene, ma in America (a differenza che in Italia) politicamente sono quasi un’era geologica. La cosa fondamentale, per il Gop, è trovare un leader forte. Qualcuno in grado di tenere unito il partito, mettendo insieme un programma che dia giusta soddisfazione – e sfogo – a tutte le “correnti” che animano la destra: dai Tea Party ai moderati. Perché uniti si vince, divisi si fa il gioco degli avversari. E i voti sono tutti buoni, compresi quelli delle minoranze. Anche se è ancora presto (ma non troppo) cominciano a circolare i primi nomi. Un sondaggio di Fox News, condotto tra gli elettori repubblicani, stila una prima classifica di gradimento: Rick Perry (84%), Jeb Bush (79%), Rand Paul (77%) e Chris Christie (69%). Quest’ultimo, però, è rimasto coinvolto in uno scandalo (quello del Washington bridge che collega il suo Stato a Manhattan) da cui non si è mai veramente ripreso. Un duro colpo, considerato che aveva tutte le carte in regola per imporsi: è un repubblicano doc (abbassa le tasse e riduce la spesa pubblica), ha la parlantina, se la cava benone coi rapporti umani e, soprattutto, governa uno stato che solitamente elegge solo parlamentari democratici.

Ma ci sono altre personalità di spicco nel partito dell’Elefantino, come sottolinea Stefano Magni sull’Intraprendente. Chi sono? Marco Rubio, rampante senatore della Florida di origini cubane (quindi ottimo per attirare voti latinos). Viene dai Tea Party e piace anche ai vecchi conservatori. E in più è giovane. Ma qualcuno, tra i suoi vecchi amici, lo considera un Rino (offesa gravissima, repubblicano solo di nome!). Altra figura in pole position è Scott Walker, appena rieletto governatore del Wisconsin. Uno dei grandi vincitori delle elezioni di midterm: il suo, infatti, è considerato uno stato “chiave”. Qualche anno fa ha condotto (e vinto) un duro braccio di ferro coi sindacati sulla contrattazione collettiva per i dipendenti statali. Scampato a un recall (tentativo di mandarlo a casa con un referendum), è un combattente nato ed è abituato a vincere. Gli rimproverano di essere troppo conservatore su certi temi (aborto e diritti gay). Ma per lui è un vanto.

Nella speciale lista dei “papabili” potrebbe infilarsi anche Rick Santorum, sfidante di Romney nelle primarie del 2012. In realtà appare un po’ deboluccio, pur avendo già fatto esperienza due anni fa. Vicino (secondo alcuni troppo) alla destra religiosa, dal punto di vista economico – puntualizza Magni – non ci sono molte differenze tra lui e un democratico. Proprio per questo gli elettori che sognano una svolta liberale potrebbero fargli la guerra se provasse ad alzare troppo la cresta.

Rand Paul si è mosso prima degli altri, iniziando a mettere in pista una rete per unire tutti gli stati dell’Unione. Figlio di Ron Paul, come lui porta avanti (ma all’interno del Gop) le idee più libertarie dell’America, sia in economia che nei diritti civili. Piace ai Tea Party e gode di una buona credibilità. Potrebbe costargli caro, però, l’eccesso di isolazionismo in politica estera, che l’America non può permettersi. Specie ora. E l’essere troppo lontano dall’establishement non lo aiuta. Le sue idee, però, sicuramente stimoleranno il dibattito a destra.

Non dimentichiamo Paul Ryan. Vice di Romney nel 2012, iniziò come stagista di un senatore (Bob Kasten) e visto che era particolarmente bravo con la penna (e la retorica), si specializzò nella scrittura dei discorsi politici. Eletto alla Camera nel 1998, è stato sempre confermato con ampi margini di voto. Se non come leader, potrebbe essere l’uomo giusto per completare un ticket (l’eterno vice?).

Dopo le gaffe nelle ultime primarie del Gop francamente Rick Perry non sembra essere all’altezza. Sempre dal Texas, invece, potrebbe farsi strada il senatore Ted Cruz. Per non tradire la sua terra indossa sempre gli stivali. Amato anzi amatissimo dai Tea Party, vorrebbe cancellare – anzi distruggere – gli otto anni di Obama, a partire dalla riforma sanitaria. Figlio di un immigrato cubano e di un’americana di origini italiane, rappresenta la versione di destra di quel melting pot che fa molto America.

Ma tra tutti questi nomi, più o meno forti e più o meno buoni, alla fine potrebbe spuntarla un altro Bush. Stiamo parlando di Jeb Bush. In Florida se l’è cavata bene. In più ha alcune frecce al proprio arco: piace alla destra moderata, la sua famiglia è ancora oggi potentissima e ben inserita nell’establishment. In più è sposato con una messicana, Columba Garnica Gallo. Segno della fusione tra culture diverse. Qualcuno però storce già la bocca: il terzo Bush? E che siamo, una monarchia? Di certo non gli mancherebbero le capacità.

Il partito repubblicano ha lanciato un sondaggio per individuare i candidati più forti per la leadeship del Gop. Fino ad ora è solo un gioco, ma potrebbe fornire spunti interessanti. Alla fine, però, decideranno i voti (quelli veri, non i sondaggi) delle primarie.

 

 

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