Al momento è uno dei più forti candidati che il partito repubblicano può gettare nella mischia per riprendersi la Casa Bianca. Tra poco sapremo se Jeb Bush deciderà di scendere in campo o meno. Intanto, mentre buona parte della destra americana ancora è sdegnata per la decisione di Obama di regolarizzare 5 milioni di clandestini (scavalcando il Congresso), si torna a parlare della politica di Jeb Bush in materia d’immigrazione. Il Foglio (25/11/2914) ripropone ampi stralci di un discorso fatto dall’ex governatore della Florida l’8 marzo 2013 alla Ronald Reagan Presidential Library. Ne emerge una ricetta sostanzialmente di sinistra: aprire le frontiere per crescere e combattere le diseguaglianze.

Per Jeb Bush la riforma dell’immigrazione non può prescindere dall’esigenza sacrosanta di orientare la crescita. “Dobbiamo portare il sistema al passo con il XXI secolo, dove il nostro nome, noto in tutto il mondo, permetta a persone che vogliono raggiungere grandi obiettivi e che hanno grandi aspirazioni di venire e creare opportunità per tutti”.

E ancora: “Stiamo diventando più vecchi, il tasso di fertilità è sceso drammaticamente e stiamo iniziando ad avere una piramide invertita (più anziani che giovani) che rende le sfide su assistenza e welfare ancora più difficili da superare… La demografia non deve essere una condanna se si riesce a cambiare il corso delle cose, e il percorso che potremmo prendere è quello di permettere una riforma strategica delle nostre leggi sull’immigrazione, in modo da portare qui più persone giovani e piene di aspirazioni, che porranno rimedio al problema demografico per rendere il nostro sistema assistenziale più sicuro e per ridare vita all’economia in modo da rivitalizzare le nostre speranze e i nostri sogni, ma anche da avere un impatto economico immediato sulla crescita… In America la razza non è un segno identificativo dell’identità nazionale, né può essere una scusa o un modo di fare politica. È ciò che ci distingue dal mondo. È il nostro patrimonio che ha creato più dinamismo e più innovazione che in qualsiasi nazione sulla faccia della terra…”. E snocciola un dato molto significativo: “Il numero di aziende fondate da americani è sceso dal 1996 al 2011. Nello stesso periodo il numero di start-up di immigrati è cresciuto del 50%”.

Dopo aver ribadito la necessità di continuare a combattere l’immigrazione clandestina, Jeb Bush, ribadisce la necessità di fare il possibile per rendere più facile l’ingresso a chi entra legalmente. Spiegandolo in questo modo: “Vengono per dare sostegno economico alle loro famiglie. Vengono perché i bambini hanno fame. Vengono perché vogliono una vita migliore per loro e per le loro famiglie…”.

Se non è un discorso di sinistra questo… Jeb Bush, però, è fieramente schierato con i repubblicani, anche se su certi temi (per calcolo o per convinzione) non è mai stato troppo schiacciato a destra. Come suo padre e suo fratello ha sempre avuto una particolare attenzione verso le minoranze etniche, in particolare quella ispanica. Riuscirà a imporre la propria linea tra i repubblicani, traghettando il Gop verso la nuova America, quella che, oggi come ieri, insegue il proprio American dream? Il dibattito è aperto. E non è più un tema solo di sinistra.

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