Quando era vicepresidente di Bush era considerato uno dei falchi della Casa Bianca, insieme a Rumsfeld e al neocon Wolfowitz. Oggi Dick Cheney conferma la sua fama e non indietreggia di un millimetro rispetto alla reazione avuta dagli Stati Uniti dopo gli attacchi dell’11 Settembre. Allora fu uno dei più entusiasti sostenitori del programma di interrogatori speciali condotti dalla Cia. E se l’era presa con Bush quando aveva ridimensionato quel programma nel secondo mandato della sua presidenza. Oggi, dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione di Vigilanza sui servizi del Senato, Cheney torna a difendere la Cia e quindi anche se stesso. “Rifarei tutto all’istante”, ha detto in un’intervista tv a “Meet the Press” su Nbc (guarda l’intervista). Cheney nega con forza che le pratiche come quelle del waterboarding (l’annegamento controllato) e altre violenze usate durante gli interrogatori, possano essere classificate come tortura. A sostegno della propria tesi cita il parere di almeno quattro procuratori generali statunitensi. “Tortura – ha ribadito –  è quanto perpetrato ai danni di 3mila cittadini statunitensi l’11 settembre. Non c’è paragone tra quello e gli interrogatori”.

Quando il conduttore del programma, soffermandosi sulle pratiche descritte dal rapporto del Senato, gli ricorda i detenuti chiusi nelle casse per 11 giorni, quelli ammanettati a un palo sopra la testa per 22 ore al giorno e privati del sonno, l’ex vicepresidente non batte ciglio. E risponde: “Non sono io a poter stabilire con precisione cosa costituisca tortura”. Cheney difende a spada tratta la Cia dicendo che è stata “molto attenta a evitare” le torture. Poi, dopo aver detto che “il waterboarding così come lo abbiamo fatto non è una tortura”, aggiunge che non lo è neanche la pratica della “reidratazione rettale”, effettuata per “motivi medici”.

Secondo il rapporto del Senato Bush non era pienamente al corrente delle tattiche usate dalla Cia e, quindi, era stato tenuto all’oscuro delle tecniche usate dagli agenti per interrogare i prigionieri. Cheney però nega tutto: “Bush sapeva cosa facevamo. Lo ha autorizzato. Lo ha approvato”, e ricorda gli incontri quotidiani in cui l’ex presidente veniva aggiornato anche dal direttore della Cia.

Tortura o no? Vediamo cosa dice l’Onu

L’articolo 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani contiene l’esplicita proibizione della tortura: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti”. Ora, pur non essendo specificato cosa sia tortura e cosa no, né avendo la Dichiarazione un carattere giuridico vincolante, il divieto di tortura, dei trattamenti o delle punizioni crudeli ha valore assoluto e inderogabile. La Convenzione per l’abolizione della tortura, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1984, dice espressamente che “essun tipo di circostanza eccezionale, sia essa uno stato di guerra o la minaccia di guerra, instabilità politica interna o qualsiasi tipo di emergenza, può essere invocato per giustificare la tortura”. Il problema, però, come già evidenziato, è che non esiste una definizione chiara e netta di tortura. Louise Arbour, Alto commissario per i diritti umani dal 2004 al 2008, ha però detto questo: “Non ho problemi nel considerare questa pratica (waterboarding, ndr) come ricadente entro il divieto della tortura”. Giuridicamente, però, si tratta solo di un parere. Il dibattito va avanti. Di certo la “guerra” dichiarata all’America l’11 Settembre 2001 non è convenzionale. E i terroristi non seguono le regole d’ingaggio militari, così come le convenzioni internazionali. Concludiamo con una domanda: si può arrivare davvero a tutto per difendersi dal terrorismo? Oppure serve comunque un limite?

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