Il 3 marzo il premier israeliano Benjamin Netanyahu parlerà al Congresso degli Stati Uniti, dove è stato invitato dai repubblicani. L’incontro non è stato programmato con la Casa Bianca (violando palesemente il protocollo diplomatico) e sta creando profonde tensioni tra Stati Uniti e Israele. “Netanyahu – ha fatto sapere il segretario di Stato americano, John Kerry è sempre il benvenuto negli Stati Uniti, ma è inusuale che sia stato invitato dalla Camera e non dalla Casa Bianca”. Obama ha già fatto sapere che non incontrerà Netanyahu. Ma c’è di più: il primo ministro israeliano davanti al Congresso Usa parlerà della minaccia (nucleare) iraniana. E più o meno implicitamente tornerà a caldeggiare nuove sanzioni contro Teheran. Una mossa, questa, che Obama vede come il fumo negli occhi, perché in grado, a suo dire, di far saltare i negoziati in corso sul nucleare.

Netanyahu ha provato a gettare acqua sul fuoco parlando con i maggiori esponenti democratici per cercare di attenuare le tensioni, in vista del suo intervento al Congresso. Ha chiamato Harry Reid, il leader della minoranza democratica in Senato, per spiegargli i motivi per cui la Casa Bianca non è stata interpellata prima della sua decisione di accettare l’invito dei repubblicani a parlare al Congresso. Poi, il primo ministro israeliano ha chiamato la leader della minoranza democratica alla Camera, Nancy Pelosi, e il senatore Charles Schumer, il numero tre nella scala gerarchica democratica in Senato.

Israele non gradisce la politica del presidente verso Teheran. Come hanno detto alcuni funzionari israeliani all’emittente Channel 10, l’amministrazione americana ha già accettato gran parte delle richieste avanzate dall’Iran nei negoziati con i Paesi del gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, Francia e Germania) sul proprio programma nucleare. Secondo le fonti, Washington “ha concesso agli iraniani l’80% di quello che vogliono”. Proprio tali sviluppi avrebbero indotto il premier israeliano ad accettare l’invito dei repubblicani, con la speranza di convincere i deputati Usa ad approvare sanzioni più dure contro l’Iran. Per il premier israeliano la questione nucleare iraniana è di tale importanza per la sicurezza del Paese da violare il protocollo diplomatico e accettare l’invito che gli è stato rivolto dai repubblicani senza consultare la Casa Bianca.

Netanyahu rischia di trovarsi di fronte un Congresso americano spaccato, per la prima volta: i democratici hanno chiesto a Boehner di rinviare l’intervento al Congresso del leader israeliano “perché indebolisce la politica estera del presidente, pone uno stretto alleato al centro di un dibattito politico interno e favorisce un candidato in un’elezione straniera”. Secondo i democratici, sia Netanyahu, sia lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner – autore dell’invito – hanno agito per scopi politici personali: il primo perché il suo intervento è previsto due settimane prima delle elezioni anticipate in Israele, volute proprio dal premier; il secondo perché ha intenzione di indebolire il presidente Barack Obama, impegnato nel difficile tentativo di trovare un accordo con Teheran sul programma nucleare iraniano, aspramente criticato da Israele e dai repubblicani statunitensi

La visita di Netanyahu rischia di indebolire non solo Obama, ma il partito democratico, visti gli interessi in conflitto: i democratici in Congresso vogliono sostenere il presidente, senza irritare gli elettori ebrei o danneggiare gli interessi israeliani negli Stati Uniti. Prova ne è la votazione del disegno di legge sulle nuove sanzioni all’Iran, cui si oppone la Casa Bianca: la commissione bancaria del Senato lo ha approvato con 18 voti a favore su 22, con sei democratici che si sono schierati con la maggioranza repubblicana.

Intanto la Casa Bianca ha espresso “profonda preoccupazione” per l’annuncio di Israele che ha intenzione di costruire 430 nuove unità abitative per coloni nella Cisgiordania occupata, ignorando la condanna della comunità internazionale per la continuazione degli insediamenti. La decisione, come ha dichiarato un portavoce, minaccia gli sforzi di arrivare alla pace nella regione.

 

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