Jeb Bush parte e… accantona il cognome
“Jeb! 2016”: recita così il logo della campagna elettorale di Jeb Bush, svelato su Twitter alla vigilia dell’annuncio ufficiale della candidatura. “Jeb!” è scritto in rosso e “2016” in blu, i colori della bandiera americana. Scelta decisamente patriottica. Non compare il cognome Bush. Forse è un modo per differenziarsi dai due ex presidenti della sua famiglia? Di sicuro la sua famiglia, nel bene o nel male, pesa. È vero anche, però, che il logo è molto simile a quello che Jeb utilizzò candidandosi per diventare governatore della Florida nel 1994 (quella volta gli andò male, fu eletto quando ci riprovò nel 1998), con qualche piccola modifica grafica. In quel caso la scritta era bianca su uno sfondo rosso. Anche allora non compariva il cognome Bush, e dopo Jeb era posizionato un punto esclamativo.
Il grande giorno di Jeb è arrivato. Dopo mesi di attesa l’ex governatore della Florida rompe gli indugi e dà ufficialmente inizio alla propria campagna elettorale per le primarie repubblicane. Lo fa parlando a Miami, in una delle due più grandi università americane, il Miami Dade College. Vuol dimostrare subito di avere la stoffa del Commander in Chief: “La candidatura ufficiale mi permetterà di dimostrare di avere la leadership necessaria per diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti”, ha detto in un’intervista tv da Tallin, in Estonia, dove ha chiuso un tour europeo per accreditarsi come leader in grado di cavarsela in politica estera. A tale scopo in almeno due occasioni ha attaccato a testa bassa Vladimir Putin, mostrandogli i muscoli di un’America che vuole tornare a imporre la propria leadership.
Intanto arrivano le prime stoccate. L’obiettivo, ovviamente, è Hillary Clinton. “Al contrario di altri candidati che finora sono stati ad ascoltare e ad imparare io offrirò delle strade alternative e sarò molto più concreto sulle politiche che credo bisognerà portare avanti per il Paese”, ha spiegato Bush facendo riferimento all’ex segretaria di Stato, che prima dell’incontro di sabato, a New York, aveva dedicato la prima fase della sua campagna ad “ascoltare il Paese”. La Clinton non è da meno: “Yesterday is over”, dice l’ex first lady dall’Iowa, accusando Bush e gli altri candidati repubblicani di rappresentare il passato, mentre “l’America ha bisogno di un nuovo inizio”, non di “tornare indietro”, a quelle che definisce “le false promesse”.
Forte dei 100 milioni di dollari già raccolti in questi mesi, Jeb Bush è stato il grande assente all’incontro dello scorso fine settimana nello Utah, organizzato da Mitt Romney, che ha invitato donatori, strateghi e sei degli 11 aspiranti alla Casa Bianca del suo partito. Qualcuno le chiama “primarie invisibili”, cioè incontri non ufficiali che servono a selezionare la leadership e a muovere – o meno – i flussi di denaro dei finanziatori, orientando le posizioni dei candidati sui principali temi al centro del dibattito politico. In Utah erano presenti, tra gli altri, Scott Walker e Marco Rubio che hanno potuto incontrare i potenziali donatori repubblicani, con il magnate Sheldon Adelson in testa (nel 2012 donò oltre 100 milioni di dollari): cercano un nome forte che possa tenere testa e possibilmente battere la Clinton. Un momento molto importante per questa prima fase della corsa (l’inizio ufficiale è previsto a gennaio 2016) è previsto per il 6 agosto, con il primo dibattito tv tra i repubblicani (su Fox News).