OsamaBinLadenUno dei figli di Bin Laden scrisse all’ambasciata degli Stati Uniti in Arabia Saudita per chiedere il certificato di morte del padre, rimasto ucciso nel blitz ad Abbottabad (Pakistan) il 2 maggio 2011. Voleva una conferma ufficiale della morte. Motivi ereditari o semplice provocazione? Non è dato saperlo. L’ambasciata rispose ad Abdallah che non esisteva un certificato. Ma non si limitò a questo: suggerì ai familiari altri modi per ottenere una conferma ufficiale della morte. Esiste uno scambio di missive tra i familiari del terrorista e gli Stati Uniti, reso noto da Wikileaks, che ha pubblicato centinaia di migliaia di documenti provenienti dagli archivi del ministero degli Esteri saudita (“The Saudi Cables“).

In una lettera del 9 settembre 2011 firmata da  Glen Keiser, console generale dell’ambasciata americana a Riad,  l’assenza di un certificato di morte viene definita “coerente con le procedure attuate nel caso di individui uccisi nel corso di operazioni militari”.

Per ottenere un documento ufficiale il diplomatico suggeriva alla famiglia di Bin Laden di fare richiesta alla magistratura americana, che nel giugno del 2011 chiuse tutti i procedimenti nei confronti del leader di al Qaeda, con un ordine di “nolle prosequi” che archiviava tutte le accuse per la morte dell’imputato.

La “prova” della morte fu richiesta un’altra volta nel 2012, quando i media americani, appellandosi al Freedom of Information Act, chiesero al Pentagono di esibire il certificato. La Difesa Usa rispose che non era stato possibile trovare quel documento. Da allora si sono moltiplicate le congetture sulla morte dello sceicco del terrore, con ricostruzioni romanzate, film e tesi più o meno strampalate. Forse una semplice fotografia del cadavere di Bin Laden (purché dopo lo scontro a fuoco fosse ancora riconoscibile) avrebbe fugato ogni dubbio.

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