Charleston, la bandiera sudista imbarazza la destra
Nessuno si sarebbe mai aspettato che la bandiera dei sudisti americani entrasse nel dibattito politico in vista delle presidenziali del 2016. La guerra civile americana (o guerra di secessione), combattuta dal 1861 al 1865, costò la vita a oltre 600mila persone tra nordisti e sudisti. Lo scontro avvenne per ragioni ideologiche e politiche (l’abolizione della schiavitù) ma anche a causa delle profonde differenze economiche, sociali e politiche fra Nord e Sud. Ma perché si è tornati a parlare della Guerra civile non per ragioni storiche ma politiche? Tutto per una questione di simboli.
Dopo la strage di Charleston, con il giovane razzista Dylann Roof che ha ucciso nove afroamericani nella South Carolina, per la comunità nera veder sventolare la bandiera degli stati confederati sugli edifici pubblici del Sud è una vera e propria offesa nei confronti delle vittime di Roof. Molti hanno chiesto alla governatrice della Carolina del Sud, Nikki Haley, di rimuovere la bandiera confederata dal palazzo vicino al parlamento di Columbia. Quella bandiera, davanti a cui il killer amava scattarsi i selfie, è ritenuto un simbolo di razzismo anche se in molti Stati del Sud non solo è tollerato ma continua a sventolare sui palazzi pubblici.
Ma questo accostamento (bandiera del Sud=razzismo) non va giù a chi, invece, lo vede come un simbolo da rispettare, perché incarna la tradizione e la storia di un territorio, comunque sia andata a finire la Guerra civile. Il tema divide la destra americana, con alcuni leader che chiedono di rimuovere la bandiera dai luoghi pubblici, e altri che invece la continuano a difendere. Su Twitter Mitt Romey, ex governatore del Massachusetts e candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2012, ha chiesto che la bandiera confederata venga rimossa dal palazzo vicino al parlamento del South Carolina (fino al 2000 sventolava sul tetto del parlamento, insieme a quella degli Stati Uniti). Obama si è detto subito d’accordo con Romney. Ted Cruz e Carly Fiorina, altri due dei candidati repubblicani alla Casa Bianca, rimandano la palla alle autorità locali. Stessa linea per un altro candidato, Scott Walker: “È un tema statale che mi aspetto sarà discusso dalle autorità locali”. Anche Jeb Bush è d’accordo: dopo l’emergenza attuale “ci sarà una discussione fra i leader dello stato su come andare avanti e ho fiducia sul fatto che sarà fatta la cosa giusta”. Poi ricorda che quando era governatore della Florida aveva fatto rimuovere la bandiera sudista dal Congresso di Talahasse collocandola in un museo. Giusto ricordare, quindi, ma non sventolarla più in un palazzo istituzionale.
La governatrice Haley, repubblicana, tramite il proprio ufficio stampa ha fatto sapere che non ha il potere di rimuovere quella bandiera. Lo può decidere solo il parlamento. La questione era e continua ad essere spinosa e a creare non pochi imbarazzi, specie nella destra americana. Tempo fa John McCain (candidato alla presidenza nel 2008) rivelò di non aver risposto in maniera “onesta” all’argomento (bandiera confederata) per timore di perdere consensi in South Carolina.
Un sondaggio del 2014 ha rivelato come il 73% dei bianchi in South Carolina resti a favore della bandiera, mentre il 61% dei neri ritiene che debba essere rimossa. Da anni quel vessillo fa discutere: nel 2000 a chiedere che fosse consegnato alla storia furono 46.000 persone durante una marcia. Per accontentarli (lameno in parte) la bandiera fu spostata vicino a un memoriale. Ora l’antico vessillo sudista entra a pieno titolo nel dibattito politico per le elezioni 2016. Non è un bel segnale per l’America.