Amicizia Italia-Usa, Filippo Mazzei e il 4 luglio
Il 4 luglio scorso a Pisa si è festeggiata la Dichiarazione d’Indipendenza americana con un interessante talk show organizzato dal Circolo culturale Filippo Mazzei, che si ispira al grande illuminista toscano amico dei primi cinque presidenti degli Stati Uniti: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson. All’incontro, tenutosi nella bella cornice dei Giardini della Pisaniana (“Indipendence Day da Mazzei ad oggi quali Usa?”), hanno preso parte Barbara Contini, presidente della Fondazione Italia-Usa, Dario Fabbri, giornalista di Limes ed esperto di politica internazionale, Filippo Nogarin (sindaco di Livorno), Massimo Balzi (presidente Circolo Mazzei). Ho avuto il privilegio di moderare il dibattito insieme al collega Gabriele Masiero (Ansa). Quella che segue è un’intervista che la presidente della Fondazione Italia-Usa, ha concesso al blog Monticello.
Presidente Contini, perché è importante oggi ricordare Filippo Mazzei?
La ragione è semplice, Filippo Mazzei è stato un personaggio che ha avuto un ruolo nella storia degli Stati Uniti, ha partecipato alla guerra di indipendenza ed è considerato uno dei padri della dichiarazione di indipendenza. Mazzei fu un italiano cittadino del mondo, la sua vita fu avventurosa e variegata, dall’Italia al Regno Unito, alla Polonia alla Russia, ma forse proprio il suo tempo negli Stati Uniti rappresenta meglio la sintesi della sua grande versatilità ed eccellenza, una portante che poi nel tempo si è riscontrata nei numerosissimi italiani che in quella terra hanno trovato una nuova casa, dando vita a una comunità radicata, stimata e partecipativa della vita e delle istituzioni statunitensi e che oggi lega i nostri due paesi al di la e sopra di ogni dinamica, politica, un legame fra due popoli di cui Filippo Mazzei può, appunto, essere considerato uno degli elementi di sintesi.
Quale ruolo hanno gli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale? Sono ancora leader e vogliono esserlo o siamo tornati alla “Dottrina Monroe”?
La Dottrina Monroe mi sembra un po’ semplicistica da applicare ad un mondo oggi molto più multisfaccettato e complesso, se non altro per la velocità con cui si muove.
Non è certo la politica estera Usa a mancare di ruolo o ad avere un ruolo ridotto nello scenario internazionale, semmai è la politica estera dell’Unione Europea ad essere ancora troppo assente, anche a fronte degli sforzi che l’istituzione Europa compie, la sua natura intrinseca ne limita autorevolezza e conseguentemente l’ efficacia. Quindi da una dimensione così limitata forse gli Stati Uniti ci sembrano un po’ contratti, ma forse siamo noi europei che dovremmo imparare ad avere un ruolo.
La politica estera Usa è in realtà molto attiva e operante come lo dimostra il recente accordo commerciale sul fronte del Pacifico, la politica di sicurezza in particolare in relazione alla situazione in Ucraina è più che mai presente e anche l’Unione Europea lo dovrebbe riconoscere visto che i costi dell’embargo alla Russia hanno un riflesso non indifferente per gli stessi paesi europei. Gli Usa sono presenti ed attivi nella lotta al terrorismo, hanno basi in Est e West Africa, sono in Somalia, nel Golfo Persico e nell’Oceano Indiano, fronteggiano da anni il terrorismo nel Sud Est Asiatico con missioni militari, sono ancora attivi e continueranno ad essere attivi in Asia Centrale così come in Medio Oriente, uno scenario complessivo che continua a vedere gli Stati Uniti come primo attivista in politica estera. Il fatto che l’opinione pubblica percepisca uno scarso interessamento degli Usa, rispetto al passato, di aree del mondo, quali ad esempio Siria e Magreb è più conseguenza dei problemi che l’ Europa non riesce a fronteggiare efficacemente sul suo territorio, principalmente immigrazione clandestina e terrorismo.
L’Isis è la nuova minaccia al mondo libero. Come giudica la strategia degli Stati Uniti?
L’Isis, inteso come auto-proclamato stato islamico sul territorio che ha occupato, di per sé non è una minaccia per il mondo libero. Il terrorismo islamico potrebbe costituire una minaccia, allo stato attuale è soprattutto una minaccia per la sicurezza pubblica.
Di fatto, sotto il profilo militare, basterebbe un intervento degli eserciti occidentali per liberare in poco tempo le zone occupate dall’Isis determinandone la fine almeno nei termini di Stato corrispondente a un territorio.
Per intaccare la sicurezza nazionale e diventare una minaccia per il “mondo libero”, ossia le democrazie avanzate quali quelle europee, occorre di più, per esempio se il terrorismo islamico compreso quello rivendicato dall’Isis, si inquadrasse in un fenomeno progressivo e costante di aumento della immigrazione dai paesi islamici, unitamente alla crescente difficoltà di integrazione e di convivenza fra i cittadini europei e i cittadini immigrati originari dai paesi islamici e alla progressiva crescita e diffusione della religione islamica, si potrebbero determinare portanti di minaccia per la sicurezza nazionale e democratica degli stessi paesi europei.
È solo un esempio anche se potrebbe nel tempo verificarsi realmente, infatti alcuni indicatori quali quelli demografici sulla progressiva crescita dei cittadini originari dai paesi islamici e quelli sulla diffusione della religione islamica in Europa sono inequivocabilmente orientati e un’analisi predittiva potrebbe rappresentare una problematica di sicurezza nazionale in tempi abbastanza certi. Un lavoro per le agenzie di intelligence nazionali, visto che non abbiamo un’agenzia europea che si occupa di questo fenomeno.
Anche in questo settore la strategia degli Usa, oltre che ad essere quella che maggiormente incide sul fenomeno del terrorismo islamico in termini generali, è sicuramente più organizzata quantomeno nei concetti. La comunità intelligence Usa, pur essendo articolata e numerosa, trova momenti di coordinamento e molti dati e informazioni raccolte dagli apparati Usa sono utili e condivise con i partner europei.
In ambito militare gli Usa sono presenti e attivi in Iraq e in Siria, forse dovremmo interrogarci noi europei sulla nostra strategia.
È riesplosa la Guerra fredda con la Russia. L’Italia sembra stare a metà del guado. Si può essere amici di entrambi?
Non si tratta semplicemente di amicizia, gli attriti fra Usa e Russia si accentuano quando gli argomenti sono in area europea come nel caso dell’Ucraina, l’Italia come del resto l’Europa e i singoli paesi europei, fanno fatica ad orientarsi su una politica che sia completamente da una parte o dall’altra, anche in questo caso l’assenza dell’Europa quale protagonista unitario sullo scacchiere internazionale, lascia i paesi membri seppur geograficamente centrali, in balia di due grandi potenze della politica estera, una situazione che si sta facendo sentire anche sul piano economico, più politica estera europea e più potere alle istituzioni ad essa preposte potrebbero determinare anche maggiore chiarezza e determinazione nel perseguire anche la politica estera nazionale.
Perché l’America ha così a cuore la sorte della Grecia nell’Ue?
Anche in questo caso credo che le preoccupazioni di Obama siano di ordine geopolitico più che strettamente economiche e legate ai mercati, infatti un allontanamento della Grecia dall’Europa, soprattutto se ciò dovesse coniugarsi con un avvicinamento alla Russia, potrebbe oltre che determinare una instabilità generale dei mercati, portare ad un indebolimento dell’Europa e una progressiva instabilità geopolitica, imprevedibilità che in questo momento non sembra giovare agli Stati Uniti e in particolare dell’amministrazione Obama che rischia di chiudere il mandato lasciando una situazione internazionale più complessa e deteriorata di quando ne ha assunto la responsabilità.
Come valuta la partecipazione alla politica degli americani, a partire dalle primarie?
Va detto che in realtà la partecipazione degli americani alla politica non è poi così appassionata, basta vedere i dati di affluenza al voto in occasione delle elezioni più importanti per il popolo americano, le elezioni del presidente degli Stati Uniti. Soltanto il 60 per cento degli aventi diritto partecipa alle elezioni del presidente, una delle percentuali in assoluto più basse tra tutte le democrazie occidentali. Per le elezioni del Congresso vota soltanto circa il 40-45 per cento. Forse siamo noi europei ad essere affascinati dal sistema americano, ma i cittadini degli Stati Uniti non vivono la competizione politica così attivamente e la storica assenza dalle urne lo dimostra da sempre.
Quali sono le principali attività della Fondazione da Lei presieduta?
La Fondazione Italia USA è nata per testimoniare l’amicizia tra gli italiani e il popolo americano. Descrivere le relazioni tra due Paesi è affascinante ma difficile: ogni nazione muta, ogni popolo cresce ed evolve, e i rapporti reciproci sono sempre lo specchio dello spirito del tempo. Oggi, per il fatto stesso che Stati Uniti e Italia sono legate da ottime relazioni, è più che mai utile un’istituzione che veicoli, migliori e approfondisca in Italia la cultura americana nelle sue mille sfaccettature. Conoscere l’America significa apprezzarne i lati ancora poco noti alla maggioranza degli italiani, esercitando quello spirito critico che guarda alla realtà senza pregiudizi. E’ necessario comprendere gli Stati Uniti per quello che realmente sono senza filtri politici e ideologici, e migliorarne l’immagine in Italia rispetto alle distorsioni che circolano in abbondanza. E in questo penso che la Fondazione Italia USA possa fornire il proprio contributo.
Prossimi appuntamenti o iniziative?
Certamente il Premio America attribuito dalla Fondazione Italia USA ogni anno presso il Parlamento italiano, un riconoscimento di grande valore civile ed istituzionale. Obiettivo del premio è riconoscere e stimolare iniziative ed opere volte a favorire i rapporti tra Italia e Stati Uniti d’America. Sono quindi premiate alte personalità di chiara fama, di qualsiasi nazionalità, che si siano distinte per il loro operato ed abbiano raggiunto importanti risultati a favore dell’amicizia transatlantica. L’appuntamento per la prossima cerimonia è l’8 ottobre alla Camera dei Deputati.