Cruz e Rubio, la vera sfida
L’ultimo dibattito in diretta tv tra i candidati del partito repubblicano ha visto incrociare le lame due sfidanti che, sino ad ora, si erano tutto sommato ignorati. Due candidati giovani (44 e 45 anni) che stanno avanzando nei sondaggi, senza scossoni ma in modo costante. Insomma, ci sono tutti i segnali perché possano essere loro i due veri sfidanti per le primarie del Grand Old Party. Stiamo parlando di due senatori, Ted Cruz e Marco Rubio. Il primo del Texas, il secondo della Florida.
Il dibattito di martedì 15 dicembre, organizzato a Las Vegas dalla Cnn, è stato contraddistinto dalla concretezza con cui i candidati hanno voluto rispondere alle domande, soprattutto sulla lotta al terrorismo e le politiche sull’immigrazione. L’unica cosa che ha messo d’accordo i nove repubblicani che si sono confrontati è stata la ferma stroncatura nei confronti di Barack Obama e di Hillary Clinton. Cruz a un certo punto ha sottolineato che “chiunque delle nove persone qui presenti sarebbe un commander in chief infinitamente migliore di loro due”. Un modo come un altro per dire: dateci tutto tranne loro. Una frase a effetto che serve più che altro a ricompattare la base repubblicana, che tende a dividersi (com’è normale che sia) quando si assiste a primarie combattute.
Rubio piace soprattutto all’establishment del partito repubblicano, ed è noto per le posizioni moderate, specie in materia di immigrazione. Cruz, invece, è visto come il portabandiera dei Tea Party, l’ala destra del Gop, che non vuole mezze misure e chiede di tornare sulla strada maestra tracciata da Ronald Reagan negli anni Ottanta. Segnali incoraggianti per entrambi: Cruz è passato avanti a Trump in Iowa, dove il 1° febbraio si terranno i caucus (prime elezioni vere e proprie, dopo mesi e mesi di sondaggi). Rubio, invece, è secondo in New Hampshire, il secondo stato dove si vota.
Dicevamo che i due si sono punzecchiati. Cruz, ad esempio, ha puntato il dito contro la riforma dell’immigrazione (che prevedeva una robusta sanatoria dei clandestini) su cui Rubio ha svolto un ruolo importante, lavorando d’intesa coi democratici. Rubio ha posizioni meno intransigenti, perché punta al voto dei latinos, ma questo discorso potrà essere un punto di forza soprattutto per le elezioni presidenziali di novembre, nel frattempo deve rispondere alle durissime polemiche di Cruz e soprattutto ai muri che Trump vorrebbe tirare su. Rubio si trova nella difficile posizione di dover ritrattare la propria posizione ma senza esagerare per non contraddire in modo netto le proprie vecchie battaglie, che potrebbero tornargli utili a novembre. Proprio per questo Rubio si è difeso attaccando Cruz, ricordandogli che anche lui, in passato, aveva paventato l’opportunità di una sanatoria per gli immigrati irregolari.
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Rubio ha affondato il colpo spostando il tiro su un altro argomento: la sorveglianza delle comunicazioni. Premessa: i repubblicani approvano le politiche di sorveglianza messe in atto dalla National Security Agency, ma l’ala più estrema del Gop li vede come una pesante intrusione del governo nelle vite dei cittadini. Per assecondare questa linea Cruz qualche mese aveva votato contro, in Senato, un programma di intercettazione e analisi dei metadati delle telefonate degli americani. Rubio ha avuto buon gioco nell’accusare Cruz di mettere il Paese in pericolo: “La prossima volta che ci sarà un attacco in questo paese, la prima cosa che le persone vorranno sapere è come mai non ce ne siamo accorti prima e non lo abbiamo impedito. Meglio che la risposta non sia perché non avevamo accesso alle comunicazioni o a informazioni che ci avrebbero permesso di identificare gli assassini prima del loro attacco”.
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Per il resto della serata, bisogna registrare alcuni battibecchi, soprattutto tra Jeb Bush e Donald Trump. L’ex governatore della Florida ha attaccato a testa bassa Trump sulla sua ultima controversa proposta, quella di vietare l’ingresso negli Usa a tutti i musulmani: “Donald è bravissimo con le battute, ma è il candidato del caos e sarebbe il presidente del caos. Questa non è una proposta seria”. E se nella lotta al terrorismo è necessario coinvolgere i paesi e i cittadini musulmani, Bush ha sottolineato che con Trump questo di fatto sarebbe impossibile.
Immediata reazione di Trump che ha definito la “fallimentare campagna” di Bush “un vero disastro”. “Tu hai iniziato da questo punto Jeb – ha detto, indicando il centro del palco, l’ex conduttore tv famoso per il modo in cui eliminava i concorrenti di “The Apprentice ” urlando “you are fired!” – ma ti stai muovendo sempre più di lato, presto sarai arrivato alla fine”. Trump ha replicato con una delle sue solite battute, sottolineando – come aveva già fatto in passato – che Bush è spento (“low-energy”). Punto nel vivo Bush ha replicato: “Non arriverai alla presidenza a forza di insulti”. Trump ha voluto chiudere il battibecco alla sua maniera: “Io sono al 42% tu al 3%, quindi io vado meglio”.
L’affondo di Bush
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La replica di Trump
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Poche ore dopo il dibattito Bush continua ad attaccare Trump: “Un bullo, un prepotente totalmente impreparato per la presidenza. Non è un candidato serio e non pensa a quello che dice. Non ha un piano e le sue proposte non sono serie. Vietare l’ingresso dei musulmani sarebbe un danno alla nostra sicurezza”.