Usa: decisivi gli astenuti?
Un interessante dibattito si è svolto all’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) di Milano, sulle elezioni negli Stati Uniti in programma a novembre. Ne hanno parlato Gabriel Guerra Mondragon (democratico), ex ambasciatore Usa in Cile, membro del Council on Foreign Relations, del Latino Justice Prldef e della Limon Foundation, e Kurt Volker (repubblicano), ex rappresentante Usa nella Nato, executive director del McCain Institute for International leadership, non-resident Senior fellow presso il Center for Transatlantic relations alla Johns Hopkins University’s School of Advanced international studies e senior advisor presso l’Atlantic council. A moderare l’incontro Giancarlo Aragona (presidente Ispi) e Maurizio Molinari (direttore de La Stampa).
“Ho incontrato i Clinton nel 1972 – racconta Guerra Mondragon – nella campagna elettorale per George McGovern. I due non erano ancora sposati. Poi si spostarono in Arkansas, misero su famiglia e sappiamo cosa hanno fatto. La campagna elettorale di Hillary è stata molto combattuta. Sanders, infastti, si è dimostrato molto forte, soprattutto grazie al sostegno dei giovani. Il Partito democratico è unito, a differenza del Grand Old Party. E Obama, che fino all’ultimo non si è schierato, rispettando le primarie, avrà un ruolo importante nella campagna elettorale. Il lato liberal del partito, da Sanders alla senatrice Elizabeth Warren, sarà compatto intorno a Hillary. La lotta sarà dura ed anche molto sporca. Un sondaggio Bloomberg – prosegue Mondragon – evidenzia che gli americani non hanno apprezzato le posizioni assunte da Trump sul giudice di origini messicane che si occupa di alcune denunce contro la “Trump university”. Così come non sono piaciuti i suoi commenti dopo la tragedia di Orlando”.
“Come si può descrivere la campagna? – si è chiesto Volker (nella foto) aprendo il suo intervento -. Trump è qualcosa di diverso da un candidato repubblicano. Ha cercato di rispondere alle esigenze degli elettori, usando il partito come piattaforma. Ritengo che abbia grandi possibilità di vittoria a novembre. Del resto fino a qui ha vinto seguendo le regole e conquistando la maggior parte degli Stati americani. La strategia di Trump è questa: attirare le emozioni delle persone, unendo nella sua critica tutti i politici (l’élite privilegiata), incapaci di dare risposte ai problemi più sentiti dai cittadini. Ci sono alcune cose che dice che possono essere viste come offensive (ad esempio il muro con il Messico, oppure il no all’ingresso negli Usa dei musulmani), ma il pubblico che lo vota – prosegue Volker – sa bene quali siano i problemi e sarà in grado di scuotere il Paese. Il fenomeno, del resto, esiste anche tra i democratici”.
Sia Volker che Guerra Modragon sono convinti di una cosa: per vincere a novembre bisogna attrarre nuovi elettori rispetto alle primarie. Il problema è come. Trump cerca di raggiungere gli “insoddisfatti” e vuole il loro voto, anche se non hanno più fiducia nella politica. Anzi, lui punta soprattutto su questa fetta di società: glis contenti e i delusi. Clinton punta soprattutto sulle minoranze: ispaniche e afroamericane. La “seconda sfida”, spiega Volker, è quella di attrarre il consenso di una porzione (anche piccola) dell’altro partito. “Qui per Trump è più facile – secondo Volker – perché lui è contro l’establishment. Hillary invece è più in difficoltà”.
Guerra Mondragon (nella foto) si sofferma sul ruolo di Sanders: “Vuole che la convention democratica parli dei temi a lui cari. Ma il suo partito nel complesso è più compatto rispetto a quello repubblicano. La campagna di Hillary non sarà diversa da quella di Obama, tra l’altro molti membri dello staff del presidente ora stanno con Hillary. Sanders, dunque, vuole influenzare la piattaforma politica di Hillary, ma è intelligente e, dopo aver raccolto la standing ovation del Senato, per la sua battaglia sino a qui sostenuta, sa che ora deve sostenere la Clinton. Il partito democratico non può non appoggiare Hillary, anche l’ala più a sinistra. Una parte, però, di certo non andrà a votare. Bisognerà vedere quanti saranno a decidere per l’astensione”. Guerra Mondragon prosegue dicendo che “in base ai sondaggi un democratico non vince se non riesce a ottenere almeno il 40% del voto delle minoranze“. Quanto a Trump secondo Mondragon per le posizioni assunte molti esponenti repubblicani sono convinti che vincerà Hillary, ma temono di perdere i loro seggi, specie in Senato, e conseguentemente anche la futura nomina – da parte del presidente – di tre giudici della Corte suprema, con tutto ciò che ne consegue.
Volker cita l’esempio emblematico del West Virginia: dopo le primarie democratiche (Sanders ha vinto con il 51,4%) è stato fatto un sondaggio da cui emerge che un terzo dei democratici a novembre voterà per Clinton, un terzo dice che starà a casa e un terzo, infine, sceglierà Trump. Questo conferma che non sarà affatto facile, per Hillary, ottenere i voti di Sanders. “Quanto ai repubblicani – prosegue Volker – l’establishment del Gop non ama Trump, ma non vuole perdere. Lo speaker della Camera Paul Ryan, che è un gentleman, uno che pondera bene le cose, è molto diverso da Trump e spesso ne ha preso le distanze. Eppure alla fine ha cambiato idea sul tycoon, perché molti repubblicani lo hanno pregato di non rompere con lui, temendo di perdere il loro seggio al Congresso”.
Si può ipotizzare che Trump muterà atteggiamento per venire incontro ai desiderata della base repubblicana? Per Volker la risposta è no. “Vuole che il Gop si adegui a lui e non viceversa”. E una “scissione” del partito in questa fase sarebbe troppa pericolosa per il Gop. I repubblicani accetteranno Trump come candidato sperando, così, di tenere la maggioranza alla Camera e di evitare la deleteria spaccatura del partito dell’elefante. Trump, prosegue Volker, non si attiene alle regole politiche tradizionali. “Vuole che i senatori si rechino alla convention per sostenerlo? Forse no. Il suo obiettivo è cavalcare la ribellione dei cittadini contro la classe politica. Per questo gli fa comodo che l’establishment sia contro di lui”. Gabriel Guerra Mondragon palesa l’ottimismo dei democratici: “Trump si è imposto nelle primarie conquistando circa il 35% dei sostenitori, ma non gli basta per vincere a novembre. Se non allarga la propria base elettorale non ce la può fare”. Non a caso il candidato repubblicano in più di un’occasione ha strizzato l’occhio ai sostenitori di Sanders. E cavalca certe battaglie del senatore “socialista” del Vermont, facendo arrabbiare l’establishment del Gop.
Ma c’è anche un altro fattore importante che, a ben vedere, determinerà il risltato del prossimo 8 novembre. Il numero degli astenuti. Guerra Modragon è convinto che alcuni repubblicani non andranno a votare, pur di non dare il proprio sostegno a Trump. Il “peso” di chi resterà a casa potrebbe risultare determinante per la scelta del prossimo inquilino della Casa Bianca.