Trump il pacificatore
“La pace in Medio Oriente è possibile”. Donald Trump lo ha detto appena sbarcato a Tel Aviv e lo ha ribadito nelle sue tappe a Gerusalemme e a Betlemme, dicendosi convinto che sia i palestinesi che gli israeliani vogliano la pace. Prima in Arabia Saudita e poi in Israele Trump tesse la sua tela per ridisegnare gli equilibri geopolitici del Medio Oriente, che passano dalla svolta sull’Iran, tornato a essere, per Washington, il nemico pubblico numero uno. “La pace non può mai radicarsi in un luogo dove la violenza è tollerata, finanziata e infine premiata”: Trump pronuncia queste parole a Betlemme, dopo il faccia a faccia con il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen. “La nostra società – ha aggiunto – non può avere tolleranza per il bagno di di sangue e la strage di gente innocente”.
Il leader dell’Anp ha ricordato l’impegno a “lavorare con voi come partner nella lotta al terrorismo nella nostra regione e nel mondo”. Ma ha voluto ricordare a Trump la propria ricetta: “Ribadisco una volta di più la nostra posizione, quella dei due Stati secondo le frontiere del 1967. Uno Stato palestinese con capitale a Gerusalemme est, che viva a fianco di Israele nella pace e nella sicurezza”. E ancora: “Siamo pronti ad aprire il dialogo con gli israeliani per rafforzare la fiducia e creare una reale opportunità per la pace. Non siamo contro l’ebraismo come religione ma contro l’occupazione, la colonizzazione” dei territori palestinesi e “il rifiuto di Israele di riconoscere lo Stato di Palestina, come noi abbiamo fatto con loro”. E rivolgendosi a Trump ha poi espresso un auspicio: “Spero che sarai ricordato nella storia come il presidente che ha ottenuto la pace tra israeliani e palestinesi”.
Trump ha messo subito in chiaro le cose, parlando all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv: “Costruiamo insieme un futuro in cui le nazioni della regione siano in pace, in cui tutti i nostri figli possano crescere forti e liberi dal terrorismo e dalla violenza”. Ed ha aggiunto un passaggio chiave, ricordando la sua tappa in Arabia Saudita: “Ho incontrato re Salman e i leader del mondo arabo e musulmano” e “abbiamo raggiunto un accordo storico per perseguire una cooperazione ancora più forte contro il terrorismo”. Secondo Trump “abbiamo davanti a noi la rara opportunità di portare sicurezza e stabilità e pace a questa regione ed al suo popolo, sconfiggendo il terrorismo e creando un futuro di armonia, prosperità e pace”.
Il più felice per la “svolta” trumpiana nei confronti dell’Iran è il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu: “Apprezziamo il cambiamento della politica sull’Iran”, “apprezziamo” la “coraggiosa azione” in Siria e la “riaffermazione della leadership americana in Medio Oriente”. I nostri due paesi “possono respingere la marcia di aggressione dell’Iran” e lavorare insieme per la pace in Medio Oriente. “Non sarà semplice – ha aggiunto – ma per la prima volta in molti anni e per la prima volta nella mia vita, vedo una reale possibilità di cambiamento”. Netanyahu ha voluto sottolineare quando abbia apprezzato che Trump sia stato il primo presidente americano in carica a recarsi al Muro del pianto, un luogo simbolo per gli ebrei di tutto il mondo.
Ce la farà Trump a “forgiare” la pace tra israeliani e palestinesi?. Ha usato lui stesso questa espressione, che ricorda il lavoro lungo e difficile del fabbro, che modella il metallo fuso assestando colpi precisi e potenti, dando forma compiuta all’oggetto desiderato. L’obiettivo è difficile. Diversi presidenti americani, prima di lui, hanno fallito. Ovviamente non dipenderà solo da Trump. Gli attori sul palcoscenico sono diversi. Due di loro si sono dichiarati disposti a iniziare a recitare insieme dietro la regia (vedremo più avanti quanto sapiente) del presidente Usa. Proprio lui, l’uomo a cui nessuno mai si sognerebbe di assegnare un Nobel per la pace sulla fiducia, come avvenne per Obama. Chissà che proprio a Trump non riesca il “miracolo” di forgiare la pace in Medio Oriente.
Aggiornamento
L’attentato di Manchester (Regno Unito) purtroppo non aiuta il dialogo. “Se l’attentatore di Manchester fosse palestinese e le vittime israeliane – scrive su Twitter Netanyahu – la famiglia del terrorista riceverebbe uno stipendio da Mahmoud Abbas (Abu Mazen, ndr)”.