Kennedy 100 anni dopo: luci e ombre
Difficile dire con esattezza se il mito di JFK sarebbe mai nato senza quel maledetto 22 novembre 1963. Una serie tv, 22-11-1963, basata su un romanzo di Stephen King, ha provato a sviscerare il tema, descrivendo un fantasioso “viaggio nel tempo” con cui il protagonista tentava di impedire il delitto di Dallas. Quello che ha cambiato la storia dell’America ed ha fatto entrare John Fitzgerald Kennedy nella leggenda, nonostante diversi lati oscuri.
Nato 100 anni fa a Brookline, nella contea di Norfolk (Massachusetts), Kennedy vide la luce in una ricca famiglia cattolica del Nordest: suo padre Joseph era stato ambasciatore a Londra, con imbarazzanti simpatie filo hitleriane; suo nonno materno, John Fitzgerald, già sindaco di Boston, mise in piedi quella formidabile macchina elettorale che permise a JFK di scalare la politica a stelle e strisce, dapprima come deputato (1947-1953), poi come senatore (1953-1960) e infine come presidente, eletto con uno scarto di appena 112mila voti rispetto a Richard Nixon, e accuse di brogli mai del tutto superate. Eppure John Fitzgerald non era il predestinato. Il patriarca Joseph aveva puntato sul primogenito, Joe, morto in guerra. Pure JFK lui aveva combattuto, nel Pacifico, ma gli era andata meglio, anche se era rimasto ferito. E così toccò a lui l’onore e l’onere di portare in alto, a Washington, il nome dei Kennedy.
Quando entrò alla Casa Bianca gli Stati Uniti avevano ancora le cicatrici della Grande Depressione. Lui raccolse i frutti del New Deal rooslveltiano, senza però limitarsi alla gestione del quotidiano ma lanciando nuove sfide. Chiese pubblicamente a tutte le nazioni del mondo di unirsi nella lotta contro quelli che chiamò “i comuni nemici dell’umanità… la tirannia, la povertà, le malattie e la guerra”. E si battè, d’intesa con il ministro della Giustizia, suo fratello Robert, per il superamento degli steccati razziali. In un quadro geopolitico assai complicato rispose colpo su colpo alla sfida dell’Unione Sovietica. Anche se fece qualche scivolone. Come quando, appena insediatosi, autorizzò il tentato golpe a Cuba, finito in un clamoroso insuccesso che rafforzò (e non di poco) Fidel Castro. Quando il presidente russo Nikita Kruscev tentò di collocare una batteria di missili nucleari proprio a Cuba, Kennedy rispose a muso duro. Mai come in quel momento il mondo fu vicino alla guerra atomica. Tanta fermezza alla fine costrinse Kruscev alla resa, prima che fosse troppo tardi.
Rimase alla storia un discorso che Kennedy pronunciò a Berlino nel giugno 1962. “C’è chi dice che il comunismo è il futuro. Bene, lo venga a dire a Berlino. C’è chi dice che il comunismo ha i suoi difetti, ma ha fatto molto per l’uomo. Venga a Berlino e giudichi da solo. Le democrazie hanno i loro limiti, a noi non abbiamo mai dovuto costruire un muro per impedire che la gente scappasse da noi”. E concluse con una frase potente: “Duemila anni fa il più grande vamto era ’Civis Romanus sum’. Oggi, nel mondo dei liberi, il più grande vanto è poter dire ’Ich bin ein Berliner’”. Abilissimo oratore, sapeva coinvolgere le folle con parole che andavano a segno. Tipo questa: “Non chiedetevi cosa possa fare il vostro paese per voi, ma cosa voi potete fare per il vostro paese” (nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, 20 gennaio 1960).
Ma chi ha beatificato Kennedy forse dimentica che, in gioventù, reduce da un viaggio europeo (1937), nei suoi diari JFK aveva scritto: “Sono giunto alla conclusione che il fascismo sia giusto per l’Italia così come il nazionalsocialismo sia giusto per la Germania…”. Un’altra frase fa riflettere: “Abbiamo risalito il Reno. Bellissimo, anche per i molti castelli lungo il percorso. Le città sono tutte deliziose, ciò che mostra come le razze nordiche sembrano essere certamente superiori a quelle romaniche. I tedeschi sono davvero troppo in gamba, per questo ci si mette tutti insieme contro di loro, per proteggersi”. Chiaramente ogni frase va contestualizzata, e il ragionamento di un ventenne non è paragonabile a quello di un 30-40enne. Resta il fatto che certi giudizi non gli sono mai stati fatti pesare. Tra l’altro, pur avendo dato il via alla guerra in Vietnam e impresso una fortissima accelerazione alla corsa agli armamenti nucleari, Kennedy è passato alla storia come il presidente americano che più aveva amato la pace.