Facebook e le elezioni Usa: lo scandalo Cambridge Analytica
Il sasso nello stagno l’hanno buttato il Guardian e il New York Times. In un’inchiesta i due giornali svelano l’uso “scorretto” di una mole enorme di dati. Ma perché scriviamo uso scorretto? Sarebbero stati violati i dati personali di 50 milioni di utenti di Facebook, girati alla società di consulenza britannica Cambridge Analityca. Questi dati, secondo le accuse, sarebbero serviti a tracciare profili di elettori sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. “Convincere qualcuno a votare un partito non è molto diverso da convincerlo a comprare una certa marca di dentifricio”, avrebbe detto Richard Robinson, uno dei manager dell’azienda. Noi però crediamo che fare propaganda non porti necessariamente voti. Ovviamente aiuta, ma sono diverse le variabile che, alla fine, determinano il successo o la sconfitta di un candidato. Ovviamente in questa vicenda il problema principale è l’utilizzo “scorretto” dei dati. Visto e considerato che Cambridge Analytica ha avuto stretti rapporti con i collaboratori di Donald Trump, specie in campagna elettorale.
L’accusa mossa a Cambridge Analytica è quella di aver usato (senza poterlo fare) i dati di persone iscritte al social network. E di aver collaborato (usando quei dati) alla campagna elettorale del tycoon, e poi a quella pro Brexit nel Regno Unito. Facebook ha subito avviato indagini interne per scoprire se qualche gola profonda sapesse della fuoriuscita dei dati a favore di Cambridge Analytica. Fari puntati su un ricercatore, Joseph Chancellor, che in passato come direttore della Global science research aveva ottenuto molte informazioni dai profili delle persone attraverso alcuni quiz (sulla personalità).
Chris Wylie, ex dipendente di Cambridge Analytica, rivela che l’azienda utilizzava algoritmi che creavano fake news “ad alto livello”, cercando di cambiare le percezioni dei potenziali elettori. L’azienda, secondo il racconto di Wylie, avrebbe esplorato “le vulnerabilità mentali delle persone”. Precisa di non conoscere se queste tecnichesiano state usate nella campagna di Trump, ma dice che l’ex manager della campagna del presidente, Corey Lewandowski, contattò Cambridge Analytica nel 2015, prima che Trump annunciasse di voler correre per la Casa Bianca.
A nostro avviso Trump avrebbe vinto la partita con Hillary Clinton anche senza quei dati. A onor del vero anche Barack Obama utilizzò i dati presi da Facebook, sia nel 2008 che nel 2012. Anche se, passati alcuni anni, la “profilazione” riesce ad andare molto più nel dettaglio rispetto a dieci anni fa. Il problema comunque esiste e per questo è bene fare chiarezza.
Quali dati vengono immagazzinati e utilizzati per “profilare” un utente? Tutti. Dai classici “mi piace” (facendo bene attenzione a quali post sono graditi dagli utenti), ai post più commentati, dai luoghi frequentati fino alle abitudini (da dove si condivide). L’enorme mole di dati raccolti viene elaborata per cercare di creare un profilo per ciascun utente. In quale modo? Utilizzando algoritmi e modelli baandosi anche sulla psicometria, l’indagine psicologica che tende alla valutazione quantitativa dei comportamenti. Accanto a questi dati (elaborati in modo scientifico) ci sono le informazioni acquistate dalle società che le raccolgono e le vendono sul mercato. Un esempio? Quando ci registriamo a qualche sito per acquistare il biglietto per un concerto o un libro, giriamo diverse informazioni al sito dando il nostro consenso al loro trattamento. Se considerate che oltre a queste operazioni ne facciamo molte altre, online, dal guardare un sito di informazione o spedire delle e-mail, pianificare un viaggio o fare altri tipi di ricerche, magari cercando il prezzo di un oggetto che ci piace, il gioco è fatto. Coi nostri comportamenti abbiamo permesso a qualcuno di raccogliere miglaia di informazioni su di noi. E quei dati, statene certe, saranno utilizzati. A nostra garanzia c’è il fatto che quelle informazioni sono anonime, cioè non riconducibili a una persona specifica. Ma certe aziende lavorano così bene che è facile pensare che riescano, incrociando i dati, a scoprire chi siamo, cosa facciamo e cosa pensiamo. Il bello è che a Facebook diciamo tutto noi…