Usa, le toghe sui migranti
Una sentenza di grande importanza arriva dalla Corte suprema degli Stati Uniti. Il “travel ban” è costituzionale. Il provvedimento, fortemente voluto da Donald Trump, riduce la possibilità di ingresso negli Stati Uniti ai visitatori provenienti da alcuni Paesi a maggioranza musulmana. Dopo una durissima battaglia legale (alcuni tribunali lo avevano bloccato) il bando è arrivato alla sua terza versione nel settembre dello scorso anno. Ribattezzato “muslim ban” dai democratici, limita l’accesso negli Usa ai cittadini provenienti dai seguenti Paesi: Iran, Libia, Somalia, Siria e Yemen, oltre a quelli provenienti dal Venezuela e dalla Corea del Nord.
La prima delle tre versioni del provvedimento risale al gennaio 2017. Alcuni tribunali erano intervenuti per bloccarlo, asserendo che il presidente si fosse spinto oltre i limiti fissati dalla Costituzione, con una palese discriminazione nei confronti delle persone di fede musulmana. La Casa Bianca, che si era rivolta alla Corte Suprema dopo le bocciature della Corte d’appello di San Francisco e quella di Richmond, nella terza versione del provvedimento ha recepito le obiezioni sollevate in precedenza. La Corte ha bocciato le argomentazioni di chi, a cominciare dallo Stato delle Hawaii, continuava a contestare la legittimità del provvedimento.
Le tre versioni del Travel ban: 1 – 2 – 3
Intanto un giudice federale ha ordinato al governo di riunire le famiglie di migranti divise. Il giudice della Corte distrettuale a San Diego, Dana Sabraw, ha emesso un’ingiunzione con cui dispone che tutti i bimbi con meno di cinque anni vengano riuniti con i genitori entro 14 giorni (quelli più grandi entro trenta). Il giudice parla di “realtà sorprendente” in relazione alla mancanza totale di una pianificazione adeguata prima dell’avvio, da parte dei funzionari, di una politica di separazione dei bambini dai genitori tenuti in custodia o rinviati per procedimenti penale, una pratica che ha portato oltre 2.300 bambini ad essere separati dalle famiglie. “Il governo tiene prontamente conto delle proprietà personali dei detenuti coinvolti in procedimenti penali o di immigrazione”, scrive Sabraw nel suo ordine. “Denaro, documenti importanti e automobili, solo per citarne alcuni, vengono catalogati, archiviati e messi a disposizione al momento del rilascio a tutti i livelli, statale e federale per cittadini americani e stranieri”. Ma, osserva ancora, “il governo non ha alcun sistema per tenere conto e provvedere ad un’efficace comunicazione con i figli degli stranieri. La verità è che in base al sistema attuale i figli dei migranti non vengono considerati con la stessa efficienza ed accuratezza delle proprietà”.