Usa, iniziano i guai per i Democratici
L’America è spaccata a metà: la Camera va ai Democratici, il Senato resta ben saldo in mano repubblicana (leggi i risultati). Donald Trump esulta, e con orgoglio rileva un dato storico: “Solo cinque volte negli ultimi 105 anni un presidente in carica ha vinto seggi al Senato nelle elezioni di midterm”. In effetti quasi sempre in queste elezioni di metà mandato il presidente in carica perde consensi. Clinton e Obama, solo per citare due casi, persero il controllo di entrambi i rami del Congresso nelle loro prime elezioni di Midterm. Stavolta ai repubblicani è andata bene: grazie soprattutto a Trump, che non solo si è speso moltissimo in campagna elettorale (oltre 80 comizi in due mesi), ma ha dimostrato di avere ancora la capacità di intercettare i voti della cosiddetta America profonda. Per questo giustamente rivendica il ruolo di “salvatore” del Gop (anche se la tenuta al Senato da parte della destra non è mai stata in dubbio). Il Grand Old Party ha fatto meglio del previsto, riuscendo ad allargare in modo robusto la propria maggioranza.
Molti si chiederanno: ora cosa cambia negli Usa? Prima di tutto Trump potrà dormire sonni più tranquilli, perché è il Senato che decide sull’impeachment (la procedura viene avviata o meno da parte della Camera). Stesso discorso per la politica estera, con la linea della Casa Bianca che viene controllata dalla camera alta. I repubblicani, inoltre, potranno approvare senza problemi le nomine dei giudici conservatori nei tribunali federali. Ma al di là di questo Trump dovrà iniziare a mediare, perché senza il sì della Camera non potrà far passare tutte le leggi che gli stanno a cuore. Occorrerà qualche compromesso per evitare di bloccare tutto. I democratici, tra l’altro, ringalluzziti dal controllo di un ramo del Congresso, potranno tentare di paralizzare la vita politica a suon di inchieste, attraverso le apposite commissioni, come previsto dalla Costituzione. In che senso? Prima di tutto obbligando Trump a pubblicare le proprie dichiarazioni dei redditi e facendo le pulci sulle sue attività imprenditoriali. Se il procuratore speciale Robert Mueller, che indaga sul Russiagate, dovesse trovare qualche elemento solido, potrebbe scattare anche la procedura di impeachment, che se come abbiamo detto non impensierisce Trump per quanto riguarda l’esito finale, di sicuro potrebbe portargli via tempo ed energie. Il presidente potrebbe anche rafforzarsi in caso di attacco sistematico contro di lui, portando avanti due anni di guerriglia, con l’obiettivo di strappare la conferma nel 2020 e tentando il colpaccio: riprendere il controllo di tutto il Congresso per poter realizzare (senza più scuse) le promesse fatte all’America. Continuare a demonizzare e delegittimare Trump, tentando di scalzarlo dalla Casa Bianca, potrebbe costare caro ai democratici.
Il repubblicano Paul Ryan, speaker della Camera uscente (che ha scelto di non ripresentarsi alle elezioni), si è congratulato con i Dem che hanno preso il controllo del ramo del Congresso, ma ha esortato a trovare un terreno comune di fronte a un Paese che si presenta diviso come non mai: “Non abbiamo bisogno di un’elezione per sapere che siamo una nazione divisa e ora abbiamo una Washington divisa”, ha sottolineato in una nota. “Come Paese e come governo dobbiamo trovare un modo per unirci e trovare un terreno comune e costruire i successi di questo Congresso”.
I Democratici hanno vinto alla Camera, ma i prossimi anni per loro saranno tutt’altro che facili. L’Asinello non ha ancora trovato una leadership, e al proprio interno continuano le divisioni tra l’ala ultra liberal (alla Bernie Sanders) e quella più moderata. Amara sconfitta per il 46enne Beto O’Rourke (lo chiamavano già l’Obama bianco). Doveva essere l’astro nascente dei Democratici in Texas, ma è stato battuto, al Senato, dall’ultraconservatore Ted Cruz. Se l’è cavata tutto sommato bene (48% contro 51%), ma è stato battuto. Potrà essere lui, uno sconfitto, a guidare la rinascita dem? O potrà essere l’affascinante Alexandria Ocasio-Cortez, eletta a New York per la Camera, la più giovane (a 29 anni) a entrare in Congresso nella storia degli Stati Uniti? Troppo giovane e inesperta, e per qualcuno troppo a sinistra per fare breccia nell’elettorato moderato (anche perché New York non è l’America). Difficile che possa essere leader Nancy Pelosi, che ha già 78 anni. Lei intanto si gode la vittoria: “Domani sarà un nuovo giorno per l’America”, ha detto festeggiando il risultato. Poi ha promesso che la nuova maggioranza democratica restaurerà il ruolo di “controllo ed equilibrio” sull’operato della Casa Bianca ma cercherà anche di portare avanti una politica bipartisan. “Siamo tutti stanchi delle divisioni”, ha detto. Ed ha promesso di lavorare per abbassare i costi dell’assistenza sanitaria e per combattere la corruzione. “Prosciugheremo la palude degli interessi del denaro nelle nostre elezioni e ripuliremo la corruzione per fare in modo che Washington funzioni per tutti gli americani”. Saranno queste le fondamenta per la nuova sinistra americana? Staremo a vedere.
Non è da escludere che possa nascere una collaborazione tra Congresso e Casa Bianca, perlomeno su certi temi. Questo vorrebbe dire sotterrare l’ascia da guerra da parte dei Democratici, “mettendo in pausa” lo schema del continuo muro contro muro. Ma se ciò avvenisse, permettendo a Trump di governare, sarebbe in cambio di cosa? Davvero il presidente potrà (vorrà) prendere le distanze dall’ala più oltranzista del proprio partito in cambio della pace sociale e politica? L’unica certezza è che siamo già in campagna elettorale: il 2020 è alle porte. I Democratici hanno bisogno di un leader che per ora non c’è e rischiano di essere ostaggio delle minoranze. I Repubblicani un leader ce l’hanno ed è già pronto a rituffarsi nella cosa che più gli riesce: la campagna elettorale.