Tutto sul Texas
Dopo una laurea in Ingegneria meccanica a Pisa Giuseppe Liberati ha conseguito un Master of Science in Metallurgia e Scienza dei materiali dalla Colorado School of Mines in Golden Colorado. Ha fondato ed è Chief strategist di Bridging Value LLC, un acceleratore di business internazionale dedicato ad aziende medie che abbiamo “fame” di crescere a livello internazionale, aprendo nuovi mercati e nuovi canali di vendita, integrando nuove tecnologie. Tra le varie attività di cui si occupa è anche uno dei direttori della Camera di commercio argentina-texana, con responsabilità della commissione Innovazione, IT, Aerospaziale. Con lui abbiamo parlato della sua esperienza negli Usa e in particolare in Texas.
Da quando vive negli Usa?
Questa è la mia terza esperienza negli States. Nel lontano ’91 ero studente di HS in North Dakota; nel 2000-2002 studente di Master in Colorado ed ora da 5 anni a Houston, proveniendo da Buenos Aires (Argentina). Sempre nella cosidetta Fly-over country, quella di cui difficilmente si legge ed ancor più difficilmente si capisce dal di fuori degli States.
Come si trova?
Vivere negli Stati Uniti ha molti vantaggi ma presenta anche diverse sfide. Personalmente trovo la città di Houston accogliente e facile da vivere con la famiglia. Inoltre avendo vissuto la transizione da impiegato corporativo (Next Business Frontier Director) in una multinazionale francese a imprenditore, ho potuto “assaporare” il modo di fare business sotto vari punti di vista.
Come funzionano le cose nel profondo sud degli Usa? Tasse, servizi, ecc.?
Come incipit farei riferimento allo studio post elettorale di Colin Woodard che ha identificato ben 11 differenti “nazioni” a cavallo tra stati e contee. Prendiamo ad esempio il Texas: superficie leggermente superiore alla Francia, 24 milioni di abitanti, PIL di 1,7 trilioni di Dollari, superiore a Canada e Corea del Sud se fosse uno stato a parte. Le quattro città principali sono tra quelle che crescono di più a livello di popolazione grazie a una forte migrazione interna sia di persone che di società. Per fare qualche esempio: Toyota Motors ha abbandonato la California e trasferito il suo quartier generale a Plano, Texas, a nord di Dallas, generando profondi cambi a livello sociale; Austin è detta “Silicon Hills”, ovvero la città che accoglie un ecosistema di innovazione, pricincipalmente in IT, ma molto più abbordabile economicamente che la Silicon Valley. Il Medical Center di Houston, che riunisce molteplici strutture ospedaliere, è leader incontrastato nella lotta ai tumori e riceve ogni anno circa 8 milioni di pazienti.
C’è un grande fermento…
Il mercato è così grande che, per esempio nella sola città di Houston (PIL equivalente alla Svezia), molte aziende considerano espansione aprire un ufficio in un’altra città del Texas prima di uscire dallo stato e poi aprirsi a livello internazionale.
Che mi dice delle tasse?
A livello impositivo non ci sono tasse statali a meno di una franchise tax e quella sui dipendenti (7.82%). Lo Stato è molto business friendly e quindi molti concetti sociali per noi tipici non rientrano nella mente dei texani. I salari invece sono molto superiori a quegli italiani, e sebbene il costo della vita sia inferiore alla maggior parte degli altri stati dell’Unione, i costi per la salute sono impressionanti.
Sembra ci siano le condizioni ideali per attrarre investimenti dall’estero…
La presenza di 94 consolati e camere di commercio associate, il fatto che si parlino 110 lingue diverse, mostra che effettivamente Houston può aspirare ad un ruolo di “ponte” tra varie culture e business. Quindi per le aziende italiane c’è la possiblità di avere accesso ad un gran mercato senza doversi muovere molto. Ovviamente nel Sud degli States bisogna farsi conoscere e riconoscere; quindi l’investimento principale è il tempo, la pazienza e la costanza nelle relazioni stabilite.
Dal suo punto di vista che cosa ha prodotto, in concreto, l’elezione di Trump?
Credo che la elezione di Trump sia stata la conseguenza delle profonde differenze che sussistono negli States. In particolare, la Fly-over country voleva una voce più rilevante. Come giustamente titolato in copertina da TIME, annunciando Trump come “person of the year”: “President of the Divided States of America”. La domanda vera è quand’è iniziata la breccia tra le varie anime dell’America?
In Texas il presidente ha aiutato Ted Cruz a farsi rieleggere al Senato. Pace fatta tra i repubblicani?
Domanda difficile. Una chiave di lettura si può trovare nella gran differenza tra le città ed i sobborghi sempre più ricchi e grandi: le prime sempre più blu ed i secondi sempre più rossi, con le dovute eccezioni (e.g. Fort Bend County). Fondamentalmente i due grandi partiti stanno vivendo profonde trasformazioni che, dal mio modesto punto di vista, non hanno ancora prodotto i cambiamenti generazionali. Al di là del Texas, ho trovato molto interessante la battaglia inter-democratica in California…. delle primarie “ampliate”.
Come valuta i risultati delle elezioni di Midterm?
Credo che i cambiamenti non siano ancora evidenti. Mi sembra, però che le differenze tra Democratici e Repubblicani siano meno profonde che su altri temi a cavallo dei due raggruppamenti.
I democratici faticano a trovare un leader. C’è qualche nome nuovo all’orizzonte?… Mi pare ce ne fosse uno proprio in Texas, ma è stato bocciato…
Beto O’Rourke ha fatto una campagna incredibile ed ha messo al centro del dibattito nazionale il Texas che normalmente è uno stato Red (simpatico mix tra red e blue tra gli States e l’Europa). La sconfitta al Senato potrebbe essere un gran motore per una campagna più amplia tra due anni, ma la base democratica è profondamente divisa. Ricorda l’articolo di Bernie Sanders sul NYT subito dopo le elezioni? (Ecco il link)