Diavolo d’un Cheney
Un giovane senza arte né parte, espulso con demerito dall’università di Yale, si arrabatta nella vita affogando i propri guai nell’alcol, che assorbe come una spugna. Più tardi, superato il momento di crisi grazie allo sprone della donna della sua vita, Lynne, si ritroverà ad assorbire come una spugna la politica. Si vede questo, e molto altro, nel film “Vice – L’uomo nell’ombra”. Il protagonista è Dick Cheney, vicepresidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2008, interpretato magistralmente da Christian Bale.
Un bel film, che mostra luci e ombre (più che altro queste ultime) del politico americano. Si parte da lontano, da quando Cheney si trova in una grande sala del Congresso, insieme ad altri giovani come lui. È la riunione con cui vengono accolti a Capitol Hill gli aspiranti portaborse dei parlamentari. Quasi per caso Cheney si avvicina a Donald Rumsfeld, che lo getta nella mischia dandogli un’opportunità.
Cheney, come dicevamo, assorbe tutto come una spugna. Impara in fretta tutti i meccanismi del potere ed ha due doti: ascolta e sa stare al proprio posto. In più, quando gli chiedono qualcosa, è estremamente affidabile. Si fa strada fino a entrare alla Casa Bianca, era Nixon, in un ufficio talmente piccolo e senza finestre da sembrare uno sgabuzzino. Lui si sente comunque realizzato, ricordando bene dall’abisso in cui era sprofondato anni prima.
Il film ripercorre la storia. La crisi del Watergate e l’uscita di scena, anzitempo, di Richard Nixon, l’avvento del suo vice, Gerald Ford, e Cheney che diventa capo di gabinetto della Casa Bianca, con Rumsfeld alla Difesa. La clamorosa batosta che i repubblicani subiscono con le elezioni del 1976, che incoronano Jimmy Carter. Cheney tenta con successo l’ingresso al Congresso, facendosi eleggere come rappresentante del Wyoming. Fatica molto ad affermarsi: non è portato a tenere comizi. Sua moglie è molto più brava di lui e gli dà una mano. Il vento cambia di nuovo, irrompe sulla scena Reagan, con la sua rivoluzione liberista e il sogno di fare l’America di nuovo grande. Gli anni Ottanta sono molto importanti per i coniugi Cheney, ormai ben inseriti nel Gotha repubblicano.
Dopo Reagan tocca al suo vice, George H. Bush. E Cheney comincia a chiedersi: verrà mai il mio momento? Ci prova alcune volte ma poi si mette l’animo in pace e decide che non fa per lui, che quel momento non arriverà mai. È troppo difficile affermarsi come leader tra i colleghi di partito: servono tante qualità e buone alleanze. In più Cheney ha un problema: ha scoperto che una delle sue figlie è gay, cosa che non lo turba più di tanto, ma sa bene che nel mondo conservatore può essere un handicap (come farebbe a opporsi, da buon repubblicano, alle richieste di matrimoni gay da parte della comunità lgbt?). Si mette l’animo in pace e torna a occuparsi di petrolio.
A un certo punto, però, la sua vita cambia. Gli arriva una chiamata: George W. Bush, figlio dell’ex presidente, che ha avuto una giovinezza scapestrata come lui (e lo stesso feeling con la bottiglia), ha appena vinto le primarie del Gop e, rendendosi conto che la scarsa esperienza politica può costargli cara, gli chiede di affiancarlo nella corsa alla Casa Bianca. Cheney all’inizio è titubante. Sua moglie spinge affinché risponda di no. Poi, però, gli si accende una lampadina: perché rifiutare l’opportunità di tornare alla Casa Bianca, suo vecchio pallino, togliendosi qualche bella soddisfazione? Capisce che questa debolezza del futuro presidente può tornagli utile. Così accetta di aiutarlo, divenendo, di fatto, il vero commander in chief, l’uomo su cui, al di là della facciata, passa ogni decisione.
L’11 Settembre, la lotta contro il terrorismo, la guerra in Afghanistan prima, e Iraq poi, sono le emergenze che, giocoforza, assorbono la vita alla Casa Bianca. Cheney è il grande regista della politica di Bush. Prende lui le decisioni più importanti e se ne assume le responsabilità. Il film tratteggia Bush come un minorato mentale e Cheney un vero e proprio diavolo. Due semplificazioni eccessive. La verità quasi sempre sta nel mezzo. I due politici si sono trovati e aiutati reciprocamente, attorniati da un lungo stuolo di collaboratori. L’attacco all’America non è una variabile di poco conto. Proprio per questo non si possono misurare quegli anni con il normale metro della politica.
“Vice – L’uomo nell’ombra” è un film da vedere. Ricordandosi, però, che la storia è un po’ più complessa della narrazione.