Hollywood premia l’antirazzismo: Oscar a Green Book
I bookmaker lo avevano previsto e puntuale l’Oscar è arrivato: la statuetta per il miglior film va a “Green Book“. La pellicola diretta da Peter Farrelly porta a casa tre premi dei cinque a cui era candidata. Ispirato ad una storia vera il film è ambientato negli anni ’60 e racconta di un buttafuori italoamericano, Tony Vallelonga (Viggo Mertesen), che dopo la chiusura del locale in cui lavora, a New York, si reinventa come autista. Lavora per un pianista afroamericano, Don Shirley (Mahershala Ali) portandolo in tour negli stati del Sud. I due inizialmente non vanno per nulla d’accordo. Poi, però, conoscendosi e superando il muro dei pregiudizi, diventeranno grandi amici. Un film che “parla dell’amarsi, del volersi bene al di là delle differenze”, ha detto il regista Farrelly ritirando il premio Oscar.
La pellicola ci mostra una doppia America: quella in cui l’artista viene acclamato e accolto a braccia aperte, e quella chiusa e razzista che lo umilia e maltratta per il colore della sua pelle. “Green Book” è il nome di una “guida salvavita” per automobilisti di colore diffusa negli Usa per 40 anni, dal 1936 al 1966. Indicava ristoranti, hotel e tutti i consigli per non avere grane durante un viaggio. La prima edizione era un fascicoletto di 16 pagine e copriva solo l’area metropolitana di New York; già dall’anno successivo si ampliò fino a coprire tutti gli Stati Uniti, arrivando a oltre 120 pagine nel 1966.
Protagonista del film è l’edizione del 1959 del Green Book: costava 1,25 dollari. Sul sito “The New York Public Library Digital Collections” alla voce “Green Book” si trovano tutte le edizioni della guida. In un’introduzione all’edizione del 1949 si legge: “Verrà un giorno, in qualche tempo di un vicino futuro, in cui questa guida non sarà più pubblicata… e ciò avverrà quando la nostra razza avrà uguali opportunità e privilegi in tutti gli Stati Uniti”.
Botta e risposta Spike Lee-Trump
“Le elezioni presidenziali del 2020 sono dietro l’angolo”, ha detto il regista Spike Lee mentre ritirava l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale con BlacKkKlansman. “Mobilitiamoci. Mettiamoci dal lato giusto della storia. Facciamo una scelta morale tra l’amore e l’odio. Facciamo la cosa giusta”. Il regista ha anche colto l’occasione per ricordare che la vittoria è avvenuta nel mese dedicato negli Usa alla storia dei neri. Immediata la replica del presidente Trump: “Sarebbe bello se Spike Lee – ha scritto su Twitter – potesse leggere i suoi appunti, o meglio ancora se non dovesse usare appunti, quando fa il suo intervento razzista verso il vostro presidente, che ha fatto per gli afroamericani più di quasi ogni altro presidente”.
Al di là della bagarre tra il regista e il presidente, viene da chiedersi una cosa: Hollywood può condizionare le scelte politiche degli americani? A parere di chi scrive no. I film così come le canzoni possono far discutere e avere un certo peso nel dibattito pubblico. A ben vedere il mondo del cinema Usa da sempre guarda a sinistra con una certa simpatia, ma questo non sempre si è tradotto in voti (e vittorie) per i democratici. Altra cosa, ovviamente, sono i temi trattati nei film e le corde che essi vanno a toccare nel cuore e nelle menti delle persone.