8.030 giorni sono trascorsi da quella maledetta mattina che sconquassò il mondo. L’11 settembre è ancora lì, nei nostri occhi. Ventidue anni sono tanti. Passai da Ground Zero nel 2008, c’era un buco enorme, impressionante. Oggi quell’angolo di Lower Manhattan è tutto nuovo, ancora più grande e luccicante. Gli Stati Uniti sono così, nulla si ferma. Si piange, si soffre e ci si commuove, ma si riparte subito. La vita va avanti. Anche se non si dimentica: il memoriale dell’11 Settembre, bellissimo, ricorda la strage che costò la vita a 2.977 persone.

Nel 2001 dopo gli attentati l’85%  sosteneva il presidente George W. Bush. Normale che fosse così. Come si poteva non stringersi intorno al capo, cercando di salvare la pelle e di uscire al più presto, in modo compatto, dal disastro? Oggi è tutto cambiato. Neppure il tema “sicurezza”, scrive Gian Micalessin sul Giornale, riesce a unire il Paese. È vero, purtroppo è così. Da un lato è un bene, paradossalmente: vuol dire che si è tornati (quasi) alla normalità. Ma negli Usa si è andati un po’ troppo oltre. Ormai è una guerra continua tra democratici e repubblicani. E il peggio è che lo scontro serpeggia anche all’interno dei due partiti. Forse l’America non è mai stata così divisa come in questi tempi.

Eppure, checché ne pensino alcuni (che magari non lo dicono apertamente ma nel loro cuore strizzano l’occhio a Putin o a Xi Jinping), con tutti i suoi problemi, i difetti e i limiti, l’America resta un punto di riferimento per chi ha a cuore i valori della libertà e della democrazia. Non sono slogan o parole vuote. Riflettete su cosa avviene in certe zone del mondo e chiedetevi se sareste disposti ad accettare simili costrizioni sulla vostra pelle.

 

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