Due secoli di misteri
«Il mondo, oggi, è senza mistero!» esclamava Marcellin Berthelot ne Les origines de l’alchimie, celebrando i trionfi del razionalismo ottocentesco. Era il 1885. Solo un anno prima, nel capolavoro L’antico regime e la rivoluzione, Alexis de Tocqueville diceva qualcosa di ben diverso: «I tempi in cui tutte le scienze divengono più positive è quello stesso in cui tutto ciò che è più vago, inspiegabile, meno fondato sull’esperienza e sulla ragione si sviluppa e turba maggiormente gli animi». Gli stessi toni usati dal romanziere Joris-Karl Huysmans nel 1881, in Là-bas: «Quando il materialismo impera, risorge la magia». Composte a una manciata di anni le une dalle altre, le tre citazioni denunciano una compresenza, ingombrante per la storiografia ufficiale, che però ha stregato generazioni di studiosi, intenzionati a farla finita una volta per tutte con la vulgata secondo cui le “magnifiche sorti e progressive” scalzerebbero esoterismo, occultismo e affini. Studiosi come Giorgio Galli, che ha mostrato come in pieno positivismo un nugolo di tradizioni alternative continui a mantenersi, riaffiorando spesso negli ambienti e secondo le modalità più inaspettate. Alla bibliografia sull’argomento si aggiunge ora il monumentale studio di Simona Cigliana, Due secoli di fantasmi, uscito dieci anni fa per Fazi e ora riproposto da Edizioni Mediterranee in una nuova versione ampliata e aggiornata.
I duecento anni evocati nel titolo coprono i secoli XIX e XX, Giano bifronte di scienza e occultismo, tecnica e spiritismo, razionalismo e metapsichica. Come spiegare quest’ambivalenza? Dire genericamente che l’umanità ha sempre nutrito il desiderio di mettersi in contatto con l’oltre non basta, e per due ragioni. Anzitutto, perché molti sono i modi di sviluppare “avvicinamenti” (Jünger) con l’Altrove. In secondo luogo, perché i due secoli in questione hanno visto il trionfo della modernità, di una Dea Ragione che nutre la malcelata ambizione di eliminare questo oltre, o comunque non se ne occupa, limitandosi a razionalizzare e catalogare l’aldiquà. Tuttavia, come nota l’Autrice, le cose sono ben più complesse:
«I periodi in cui, in nome della ragione, si sono voluti rigettare i retaggi della superstizione, proclamandosi deterministi e materialisti, sono spesso quelli in cui si assiste a inaspettati revival di spiritismo. […] Sollevando il velo che la storiografia ufficiale ha steso su questa area eterodossa, si scoprirà che spiritismo, occultismo ed esoterismo, con il loro corredo di spiritualità alternative, hanno esercitato una durevole e pervasiva interazione con la cultura dell’Occidente».
Oggi siamo soliti considerare – scioccamente – scienza e mistero come irriducibili a un comune denominatore, ma le cose non sono sempre state così. Alla fine del XIX secolo, ad esempio, molti erano i legami tra questi due approcci al reale. Ebbene, dopo aver indagato e catalogato lo scibile umano, la scienza era giunta a un punto di non ritorno, al confine oltre cui si estende il Grande Ignoto. Non poté far altro che sbirciarci dentro, scoprendo qualcosa che nemmeno il più irriducibile tra i positivisti avrebbe mai potuto sospettare: «Accanto a un mondo visibile ne esisteva un altro invisibile», entrambi
«concomitanti, coesistenti l’uno a fianco dell’altro, pervasi da una quantità di energie che ancora non si era ben in grado di descrivere ma di cui si potevano osservare i portentosi effetti. La nostra “solida” materia cominciava anch’essa ad apparire come qualcosa di più complesso che una ganga di elementi inerti, e si rilevava permeabile a tanti diversi tipi di forze sottili…».
Ne nacque una babele di scoperte ed esplorazioni, che sconvolse le tradizionali divisioni dei saperi: lo stesso spiritismo si assegnò un carattere scientifico, divenendo una disciplina sperimentale basata su una visione meccanicista dell’anima assolutamente in linea con lo spirito dei tempi, materialista come pochissimi altri. Una visione estesa alla stessa tecnica: se i dispositivi meccanici amplificavano le facoltà materiali umane, lo spiritismo avrebbe fatto lo stesso a livello psichico…
Tra l’altro, se lo spiritismo adotta le modalità dell’analisi scientifica, mutuando il linguaggio di una disciplina di cui scalfisce l’assetto dogmatico, la scienza stessa sembra abbandonare il proprio statuto sperimentale, costituendosi come un vero e proprio mito, imbattendosi in sentieri alternativi e denunciando implicitamente l’insufficienza di un metodo d’indagine esclusivamente razionale. Un caso emblematico è costituito da Auguste Comte, alfiere del razionalismo più intransigente, che aveva esclamato: «Tra cinquant’anni gli scienziati predicheranno il positivismo a Nôtre-Dame!». Eppure, come ricorda Cigliana, lui stesso aveva dato il cattivo esempio, finendo per fondare una vera e propria religione positiva, in cui Dio era sostituito da un Grande Essere, i rituali e i sacramenti dal metodo scientifico, i sacerdoti dagli scienziati e via dicendo. A proposito, la nuova religione di Comte aveva anche una madonna – sua moglie – e ovviamente un pontefice – lui stesso…
Questa compresenza chiaroscurale proietta la sua ombra lunga anche sulla politica. Nell’arco della modernità non esiste fenomeno politico immune al fascino dell’occulto: se Giorgio Galli ha parlato dell’esoterismo sotto il nazionalsocialismo, ma anche sotto liberalismo e democrazia (soprattutto ne La politica e i maghi, del 1995), Francesco Dimitri ha scritto Comunismo magico (2004) e Gianfranco de Turris ha curato un volume collettaneo dal significativo titolo Esoterismo e fascismo (2006). Ebbene, Simona Cigliana declina questo modus operandi, utilizzando come chiave di volta lo spiritismo, nella nascita del radicalismo socialista. Se, ad esempio, nel 1848 il Manifesto del partito comunista usava in modo assai disinvolto metafore riferite al mondo degli spiriti (lo «spettro che si aggira per l’Europa», le «evocazioni», gli «apprendisti stregoni»…), meno noto è che Friedrich Engels s’interessava al fenomeno dello spiritismo, conducendo addirittura esperimenti sul magnetismo.
Lo stesso accadrà ad altri protagonisti della “contestazione”, che non vedranno contraddizione alcuna nell’occuparsi di spiritismo e di politica. Anche perché, è bene ricordarlo, lo spiritismo era in qualche modo conforme agli ideali della nuova politica, improntati a un progresso indefinito, figlio dell’idea di una perfettibilità umana di stampo più religioso e messianico che scientifico. Qualche esempio? A Parigi le riunioni della Società Teosofica di Madame Blavatsky (che, tra l’altro, fu in contatto epistolare con Garibaldi, nominato nel 1863 presidente onorario di una società spiritica veneziana) si tenevano nella redazione della Revue Socialiste di Louis Dramard, a sua volta membro del circolo occultistico della “Stella Celeste”. Ma s’interessarono di spiritismo anche Robert Dale Owen, figlio dell’utopista Robert Owen, tra i fondatori del Movimento Cooperativo Inglese e della lega delle Trade Unions, «a sua volta assidua presenza, post mortem, ai tavoli di varie sedute medianiche, tra cui quelle di George Sexton, leader della Social Democratic Federation, ovvero dell’ala marxista del movimento laburista». Nemmeno in Italia le cose erano differenti, se pensiamo al caso paradigmatico di Giuseppe Mazzini, persuaso che ogni vita individuale facesse parte di un’esistenza ben più ampia e che la lotta politica andasse inserita in ciclicità più estese:
«La nostra missione non è conchiusa. […] Essa sale di secolo in secolo verso fati che ci sono ignoti: cerca la propria legge della quale noi possediamo soltanto le prime linee. D’iniziazione in iniziazione, attraverso la serie delle incarnazioni successive essa purifica e amplia la formola del Sagrificio».
Se dalla politica ci spostiamo alle arti, le cose non cambiano, e la lista degli scrittori, poeti, compositori e drammaturgi che s’interessarono all’occultismo è copiosa. Anche in questo caso, ci limiteremo a qualche esempio tratto dalla imponente rassegna stilata in Due secoli di fantasmi. Se non è un mistero il fatto che August Strindberg si dedicasse all’alchimia (così come, più avanti, Antonin Artaud), se sono note le “tendenze occultiste” di un Papini o un Prezzolini, un’occhiata alla lista dei membri della Society for Psychical Research londinese – la cui succursale americana fu fondata dal pragmatista William James, fratello dello scrittore Henry – farà emergere nomi di “insospettabili” come Lewis Carroll, Robert Louis Stevenson, Carl Gustav Jung, Pierre e Marie Curie, Cesare Lombroso, Charles Richet, Henri Bergson (la cui sorella, Moira, era membro dell’Hermetic Order of the Golden Dawn) e John Ruskin.
Sigmund Freud pensava di candidarvisi in qualità di “membro corrispondente”, come scrisse a Carl Gustav Jung il 17 febbraio 1911. Come noto, d’altronde, il padre della psicanalisi utilizzava l’ipnosi e assistette ad esperimenti medianici. E a proposito della telepatia scrisse nella sua lezione dedicata a Sogno e occultismo che era un «dono fisiologico», la componente residuale di «un mezzo originario, arcaico di comunicazione tra gli individui». Sopraffatta nel corso dell’evoluzione da altre facoltà, non è escluso che potesse essere rimasta, in forma latente, in alcuni individui: «Chissà che il metodo più antico non sia rimasto sullo sfondo e si affermi ancora in certe condizioni».
Della Società era membro anche Arthur Conan Doyle. Se è per questo, il celebre padre di Sherlock Holmes, l’investigatore paladino della razionalità e della logica deduttiva, era stato nominato presidente della London Spiritualist Alliance ed era tra i finanziatori del settimanale spiritista Light. Vicino alla Società Teosofica di Londra, difese la causa spiritista, propagandandola in mezzo mondo, e fu autore, nel 1926, di una Storia dello spiritismo in due volumi. Iniziato alla massoneria presso la Phoenix Lodge di Porthsmouth (legata alla Societas Rosicruciana in Anglia, progenitrice della Golden Dawn), il mago di Baker Street negli anni Venti sostenne sulla stampa l’autenticità delle fotografie che ritraevano Elsie Wright e Frances Griffiths alle prese con piccole fate alate.
Tra gli “insospettabili” citati da Simona Cigliana ricordiamo anche Alessandro Manzoni, che assistette alle esibizioni del mentalista Auguste Lassaigne e a casa sua organizzò performance di vari mesmerizzatori, come Charles Lafontaine e Domenico ed Emma Zanardelli. Utilizzarono l’occultismo a fine narrativo Giovanni Verga e ovviamente gli Scapigliati, Arrigo e Camillo Boito e Igino Tarchetti, ma anche Luigi Pirandello, che nelle sue opere citò spesso autori legati alla ricerca psichica. Luigi Capuana, da parte sua, eseguirà esperimenti di magnetizzazione, nello spiritismo vedrà «la religione dell’età della scienza» e scriverà Spiritismo? (1884) e Mondo occulto (1894).
Sempre in ambito artistico, impossibile non ricordare Erik Satie, legato all’Ordine Cabbalistico della Rosa+Croce, da cui trasse ispirazione nella stesura di molti suoi brani. Una piccola curiosità: assieme ai lavori di Arnold Schönberg, le sue composizioni fecero da sfondo a varie serate romane organizzate dall’allora avanguardista Julius Evola, teorico di un “dadaismo metafisico” (apprezzato molto da Tristan Tzara, con cui era in contatto) aperto alla trascendenza e non ai miasmi dell’inconscio freudiano. Per poi giungere a Edvard Munch, al lituano Mikalojus Konstantinas Čiurlonis, a Kandinsky, a Mondrian (per la cronaca, membro della Società Teosofica) e al movimento di Filippo Tommaso Marinetti, le cui aperture al sovrannaturale sono state documentate sempre da Cigliana nell’imprescindibile Futurismo esoterico (2002).
La metapsichica influenzò i surrealisti, estendendo il proprio raggio d’azione anche sulla danza, l’architettura, la fotografia e il teatro. Per poi non parlare del cinema, la cui visualità offrì al sovrannaturale un nuovo supporto, dando vita a centinaia di pellicole dedicate all’occulto. Se n’era accorto Abel Gance, secondo cui «tutte le leggende, tutte le mitologie e tutti i miti, tutti i fondatori di religioni, anzi tutte le religioni […] aspettano la loro resurrezione nel film». Ma anche Antonin Artaud, che scrisse: «Il cinema è essenzialmente rivelatore di una vita occulta […] La nostra epoca è assai propizia per gli stregoni e per i santi, più propizia di quanto non sia mai stata. Tutto un mondo intangibile prende corpo, cerca di venire alla luce. […] Se il cinema non vien fatto per tradurre i sogni o tutto ciò che nella veglia è in comunicazione con il Regno dei sogni, allora non ha senso». Antonin le Fou – così lo presentava René Daumal nel suo capolavoro La grande bevuta – aveva colto qualcosa di essenziale, esaustivamente restituito dalle pagine di Due secoli di fantasmi: ben lungi dall’essere disumanizzante, la tecnica può far risorgere la magia, tornando a riaccordare l’umanità moderna a un patrimonio ben più antico, che nemmeno il più assoluto tra i materialismi è in grado di cancellare.