Dominique de Roux, già impiccato a Norimberga
Enfant prodige è l’espressione che torna più spesso quando si parla di Dominique de Roux, cometa della letteratura francese, stroncato a soli quarantun anni da un maledetto male ereditario che si era già portato via due dei suoi undici fratelli. Classe 1935, la sua vita fu segnata da una febbrile attività editoriale, saggistica e narrativa, forse incalzata dall’incombenza della fine. Sei romanzi, nove saggi, la creazione e direzione di riviste, periodici, case editrici, simposi culturali… Tra i nomi che orientano la sua esistenza c’è anzitutto Louis-Ferdinand Céline, a cui dedicherà ben due fascicoli dei Cahiers de L’Herne, da lui fondati quando era ancora studente, insieme al suo amico Georges Bez, che pubblicheranno monografici su autori come Jorge Luis Borges, Georges Bernanos, Thomas Mann, Howard Phillips Lovecraft, Gustav Meyrink, Raymond Queneau, Edgar Poe e Jules Verne (nel 1967, tra l’altro, Marc Thivolet vi fece pubblicare la raccolta completa della mitica rivista metafisico-avanguardista Le Grand Jeux, di René Daumal). Se, dopo un po’ di gavetta editoriale, i Cahiers assumono la loro versione definitiva nel 1961, l’anno della morte dell’autore di Morte a credito, il libro di de Roux La morte di Céline è invece del 1966. Pubblicato qualche anno fa in italiano per i tipi di Lantana nella traduzione di Valeria Ferretti e a cura di Andrea Lombardi, tra i massimi esperti céliniani nel nostro Paese, è il ritratto appassionato di un autore epocale, «ultimo rappresentante del Vecchio Mondo», una personalità nella quale naufragarono tutte le contraddizioni di un secolo (cosa che accade sempre nella grande letteratura, derubricando tutto il resto a cronaca spicciola o chiacchiera giornalistica). Quello ritratto da de Roux era un Céline dagli orizzonti ben più ampi rispetto a molti dei suoi incensati contemporanei, il cui sguardo profetico sapeva trascendere il qui e ora, librandosi al di là del Maledetto Novecento in cui il Fato lo volle vivente:
«Durante la notte, Céline spingeva la penna, trasportato come in un’estasi, al di sopra della casa di Fautrier, al di sopra di Parigi, dell’Europa, dell’Impero, della posterità; solo, rinchiuso nella sua vertiginosa immaginazione, inaugurando il viaggio al termine della notte, di ogni notte, sublime verità. Meglio di chiunque altro, trasmutava la mezzanotte dell’anima».
Lo studio céliniano, d’altronde, per de Roux non è (solo) un supremo esercizio di stile, né un trattato di critica letteraria tra gli altri, ma anzitutto un regolamento di conti con il proprio tempo, l’occasione di tracciare diagnosi e vaticini ben più ampi su una civiltà in crisi come poche altre; Céline diventa, ai suoi occhi, il termometro in grado di misurare lo stato di salute delle Belle Lettere, fino a stilare un bilancio spaventosamente lucido: «Nell’assenza di qualsiasi letteratura che divenga il destino mondiale, il nostro cammino va avanti, giorno e notte, tra cani e lupi, sui termitai di parole decadute, ripudiate dall’essere». Sembra di riascoltare il Canto LXXVI di Ezra Pound, scritto all’indomani di quella catastrofe europea che avrebbe costretto la nostra civiltà ad abbandonare per sempre il palcoscenico della storia, rifugiandosi dietro le sue quinte e mortificando ogni tentativo di riaffermazione:
«Formica solitaria da un formicaio distrutto
dalle rovine d’Europa, ego scriptor».
L’accostamento a Pound non è casuale. Lui e de Roux s’incontrarono più volte, sia a Venezia sia a Rapallo, in Liguria (nel corso della preparazione di un duplice Cahier de l’Herne tutto dedicato al poeta americano). Molti di questi incontri furono successivamente immortalati dall’autore francese nel suo libro Immediatamente (definito, in apertura, «itinerario nel doppio miracolo dell’apparizione delle cose e della loro scomparsa»), su cui torneremo. Così ad esempio, de Roux ricorda l’atmosfera plasmata dalla presenza dell’autore dei Cantos: a un secondo piano di Calle Querini, nel sestiere lagunare di Dorsoduro, «ero come pietra di fronte al quarzo, la pietra che si sgretola a furia di sopportare lo sguardo e il silenzio di Pound, essenza della poetica universale».
La morte di Céline, ad ogni modo, è il titolo che inaugura il catalogo di una nuova casa editrice – oggi ricordata soprattutto per aver pubblicato la prima edizione francese de Il Signore degli Anelli – fondata dallo stesso de Roux assieme a Christian Bourgois. Oltre al capolavoro tolkieniano, le edizioni Bourgois danno alle stampe altri titoli originariamente destinati a Juliard (di cui allora Bourgois era direttore), come Kaddish et autres poèmes di Allen Ginsberg (1967), nonché La machine molle (1968) e Le ticket qui explosa (1969) di William S. Burroughs. Fresca di tipografia, la prima copia del libro céliniano sarà dedicata «a Christian Bourgois, che volta le spalle ai Partiti, alla liturgia infamante, alle famiglie di Eliogabali che imputridiscono le lettere».
In questa dedica manoscritta c’è tutto de Roux, indipendente e non-conformista, allergico alle ideologie bigotte, retrograde e censorie, secolarizzazioni delle Inquisizioni di tutti i tempi: memorabili le sue liti con il trimestrale marxista Tel Quel (comitato redazionale: Foucault, Derrida, Eco e Barthes). A chi gli dà del fascista vorrebbe presentarsi così: «Dominique de Roux, già impiccato a Norimberga». D’altronde, tutto ciò fa parte – come ha scritto Stenio Solinas, recensendo la prima edizione italiana di Immediatamente, uscita nel 2017 nella traduzione di Francesco Forlani – di «una singolare inversione del vocabolario» ad opera di un mondo dove, secondo de Roux, «il mercenario diviene volontario, l’agente speciale un consigliere, il questurino un patriota, l’aggressione deliberata un’assistenza militare per abbattere la reazione». Uscito sempre per Bourgois nel 1971, Immediatamente si macchia della colpa imperdonabile di attaccare ferocemente tre soloni della cultura del tempo: Maurice Genevoix (membro dell’Académie Française), Roland Barthes e Pompidou, il quale «sa come si incula una mosca, come il 15 agosto presentare i suoi ossequi alla Vergine Maria». La sua Francia? «Una truffa politica». Ma non risparmia nemmeno de Gaulle, che merita anzitutto il tradimento: d’altronde, «quando qualcuno si tradisce da sé, libera automaticamente gli altri dalla fedeltà che gli devono. Si immagini il Cristo che corre nella sterpaglia del giardino del Getsemani, Hitler allevatore di caimani nel Brasile o mentre gioca al cangaçeiro». Quanto a Michel Foucault, «nelle sue piroette politiche» è simile a «una farfalla che batte il tempo coi piedi», e così via. Apriti cielo: fuoco incrociato sulla casa editrice, le pagine incriminate vengono strappate da tutte le copie del volumetto (i librai sono invitati a fare lo stesso) e de Roux licenziato.
Riletto ora, a oltre mezzo secolo di distanza, Immediatamente è un autentico capogiro stilistico nella forma frammentaria – ma incredibilmente organica – di una collazione di pensieri sparsi, acuminati e netti come solo i migliori aforismi sanno essere. Eccone qualcuno, dal taglio particolarmente antimoderno: «Nella storia del mondo non c’è nessun mitomane che, dopo aver preso il potere, non sia finito dritto nella fogna»; «Non v’è altro Dio che il Dio paura»; «L’America sta alla biosfera come il cancro al corpo umano»; «Non è in crisi la civiltà, ma la barbarie. Un tempo i barbari scendevano su Roma, mettevano a ferro e a fuoco Bisanzio. Ai nostri giorni si dà da mangiare ai barbari che sono i malnutriti del mondo moderno».
Ma non ne mancano nemmeno altri, dal taglio più metafisico: «Il divino sopraggiunge solo dopo la morte degli dei»; «Il diluvio sarà astrale, Babele sarà astrale. Il mondo, in parte già morto, trasformato in un planetario alla moviola, la luce del giorno s’illividisce e raggela»; «La politica, il cammino più breve verso la metafisica della storia»; «L’Impero è la distanza e il tramonto di una razza. Fin dove è possibile andare verso il nulla senza perdere il ricordo dell’essere»; «Nel più profondo, esaltato brivido, Edgar Allan Poe, il suicidato d’Occidente, vede girargli intorno, immobile, il maelström, gorgo cosmico della Mahāpralaya». A proposito di metafisica, tra l’altro, in questo libro si parla anche di Julius Evola, che de Roux aveva intervistato tre anni prima (la traduzione del loro lungo dialogo è uscita, a cura dello scrivente, per Edizioni Mediterranee nel 2019, con il titolo Autobiografia spirituale).
Straniero in terra straniera, recluso in una Francia che gli sta sempre più stretta, dopo la rottura con Christian Bourgois determinata da Immediatamente inizia un solitario pellegrinaggio per le vie d’Europa: Ginevra, poi Lisbona. «Trascendentalista politico», quando scoppia la Rivoluzione dei Garofani – rivoluzione per modo di dire, in realtà – si trova nella Città Bianca alla foce del Tago. In nome di una “internazionale gaullista” si avvicina alla decolonizzazione in Mozambico e Angola. Eppure, nemmeno durante questo girovagare riesce ad astenersi dall’organizzare iniziative culturali: fa così in tempo a fondare i Dossier H (che, dopo la sua morte, diventeranno una collana de L’Âge d’Homme diretta da sua moglie Jacqueline) e la rivista Exil, nonché a scrivere il suo ultimo romanzo, Le Cinquième Empire, dedicato al Quinto Impero delle profezie lusitane, che si sostituirà agli altri domini “storici” prima della fine del ciclo, quando tornerà il “re velato”, Don Sebastiano. Il suo era un Portogallo tutto interiore, ma al tempo stesso dotato di una vocazione universale (non universalista, per carità): lo scrisse sempre in Immediatamente, otto anni prima di quel fatidico 25 aprile portoghese, parlando del «grande silenzio portoghese». Un silenzio che conobbe, come sempre, viaggiando in lungo e in largo attraverso il Vecchio Mondo, su un treno diretto in Francia, rientrando nel cuore del continente e dando le spalle all’Estremo Occidente d’Europa:
«Basta prendere il treno Lisbona-Madrid; dopo la frontiera è solo chiacchiericcio, prima invece è coscienza millenaria, pietrificazioni infinite dell’Atlantico. Portogallo, coscienza smarrita dell’Europa come se il fine ultimo della vita fosse quello di non parlare più di niente e men che meno della fine di una storia precipitata sulle falesie d’Ercole».
Le Cinquième Empire uscirà nel 1977, agli inizi di marzo, quindici giorni prima della sua morte.