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Wall & Street ve ne sta già parlando da qualche giorno. Prima vi ha fatto ascoltare il parere di  Confinvest F.L., società che si occupa di trading in oro monetato, poi ha dato spazio anche all’opinione di Banca Etruria, che ha una lunga tradizione nel commercio dell’oro (anche per motivi storici legati al distretto orafo di Arezzo). Il tema, il calo delle quotazioni nelle ultime due settimane,  l’abbiamo già enucleato. Ora si tratta di esaminare i motivi tecnici che hanno portato la scorsa settimana il metallo prezioso a toccare un minimo a due anni a 1.322 dollari l’oncia, punto di minimo dal quale ha già recuperato, riportandosi in area 1.420 dollari.

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Perché le quotazioni dell’oro hanno avuto una così violenta e precipitosa caduta? Innanzitutto, bisogna precisare che il dubbio che la corsa potesse arrestarsi (+60% negli ultimi quattro anni) era già insorto sul mercato. Non foss’altro perché a insinuarlo era stata Société Générale il 3 aprile con un autorevole report intitolato «La fine dell’età dell’oro». Il succo del discorso è il seguente: l’oro si è avvicinato al picco storico degli anni ’70, ma a differenza di quel periodo non siamo in un’epoca di iperinflazione. Al contrario, nonostante gli interventi delle principali autorità monetarie (FedBank of Japan e, buon’ultima, la Bce) che stanno immettendo sul mercato una massiccia dose di liquidità. Analogamente il dollaro Usa, storico contraltare del metallo prezioso, ha iniziato a rafforzarsi contro euro, sterlina e yen. Per SocGen, quindi, è l’ora di tagliare le posizioni in euro.

A ruota sono seguite le considerazioni di Credit Suisse e di Morgan Stanley. La prima ha sottolineato che fino a 1.300 dollari l’oncia non c’è da preoccuparsi e che a quota 1.420 dollari si è in una fascia di sostanziale equilibrio del mercato (le probabilità di rialzo sono uguali a quelle di ribasso perché si tratta del reale valore di mercato della materia prima) e infatti nel giro di qualche seduta quel livello è stato recuperato. Un po’ più allarmista, invece, Morgan Stanley che ha tagliato le stime sul prezzo a fine 2013 a 1.487 dollari da 1.773.

Le incognite, purtroppo, sono legate ai Paesi in difficoltà di Eurolandia – Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Soprattutto Bankitalia (ma anche le sue omologhe) è ricca di riserve auree. I 4 Paesi posseggono 3.228 tonnellate d’oro, solo Germania e Usa, da sole, ne hanno di più. Se la crisi economica costringesse i Paesi a ulteriori sacrifici, la vendita dei gioielli di famiglia sarebbe necessaria e una tale massa d’oro sul mercato ne farebbe certamente scendere le quotazioni. Un’ipotesi non del tutto esclusa considerato che a Cipro, oltre al prelievo forzoso, è stato imposto di tappare ulteriori svalutazioni degli asset delle banche tecnicamente fallite con le eventuali cessioni di oro della banca centrale.

Ultime, ma non meno importanti le prese di beneficio degli Etf, i fondi che replicano gli indici connessi alle quotazioni del metallo. Dall’inizio del mese hanno cominciato a vendere le opzioni sull’oro in previsione di un eventuale ribasso, accentuandone la flessione. Anche ai fondi che investono in titoli azionari del settore minerario non è andata meglio perché il brusco stop delle quotazioni ha inciso negativamente sul loro andamento già messo alla prova da un ciclo di investimenti nelle attività estrattive che ha comportato un aumento delle spese.

Ovviamente, non tutti sono dello stesso parere. È il caso di François Mouté di Neuflize che di recente ha rimarcato come «l’oro continui a essere un ottimo investimento», soprattutto finché le banche centrali continueranno a stampare moneta e i tassi di interesse resteranno bassi più o meno in tutto il mondo. L’oro giallo non perderà il suo appeal finché un investimento con un analogo livello di rischio (e l’oro può considerarsi più o meno equivalente alla liquidità) non potrà essere considerato più remunerativo. Valutazione condivisa anche da Confinvest secondo cui «il prezzo attuale non è certo giustificabile con l’andamento molto preoccupante della finanza mondiale» e che le quotazioni basse possono essere sfruttate per abbassarne il prezzo di carico nel proprio portafoglio.

Wall & Street

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