Chi lavora è «fuori»
La recidiva tra i detenuti che partecipano a percorsi di formazione e inserimento lavorativo all’interno delle carceri cala drasticamente, scendendo sotto il 10%. Questo dato emerge dall’evento “Cooperazione sociale e giustizia: un ponte tra carcere e società”, organizzato al Cnel da Confcooperative Federsolidarietà, dove si è discusso del ruolo chiave delle cooperative sociali nel reinserimento dei detenuti e nella riduzione della recidiva.
«Su 100 detenuti che seguono percorsi di formazione e di inserimento lavorativo in carcere, torna a delinquere meno del 10%», ha dichiarato Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà. «Si tratta di un abbattimento importante della recidiva rispetto a chi è sottoposto a trattamenti standard». Granata ha sottolineato come il margine per ampliare l’impegno della cooperazione sociale in quest’ambito sia ancora ampio, evidenziando la necessità di un coinvolgimento stabile della pubblica amministrazione. «È importante», ha aggiunto, «che la pubblica amministrazione diventi un committente stabile delle prestazioni erogate, attivando un piano di acquisti sociali per rendere i servizi più efficaci e radicati sul territorio».
Le cooperative sociali associate a Confcooperative hanno assunto un terzo dei detenuti che trovano occupazione nel settore privato. Attualmente, oltre 1.500 detenuti ed ex detenuti sono coinvolti in percorsi di formazione, tirocini e borse lavoro presso le cooperative, e circa 3.000 ex detenuti continuano a lavorare in cooperativa anche dopo aver scontato la pena. Questo modello di inclusione risponde alla finalità rieducativa della pena, sancita dall’articolo 27 della Costituzione, e alla funzione sociale della cooperazione, come richiesto dall’articolo 45.
In questo contesto, il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, ha rilanciato l’obiettivo ambizioso di “recidiva zero”. «Ci sentiamo di accogliere la sfida recidiva zero», ha affermato Gardini, rivolgendosi al presidente del Cnel, Renato Brunetta. «Abbiamo bisogno di un grande lavoro di sussidiarietà che tenga insieme Stato e corpi intermedi. È una questione etica, sociale ed economica. Bisogna investire di più sulle infrastrutture sociali ed economiche, materiali e immateriali».
Le esperienze delle cooperative sociali dimostrano il valore del lavoro come mezzo per la riabilitazione. Cooperative come L’Arcolaio di Siracusa, e-Team di Roma, Giotto di Padova e altre, impiegano detenuti in attività produttive che vanno dalla panificazione alla produzione di prodotti artigianali. Ad esempio, L’Arcolaio ha trasformato un piccolo panificio in un marchio di dolci rinomato, “Dolci Evasioni”, i cui prodotti sono esportati in tutta Europa.
Anche le nuove cooperative, come Glievitati di Cuneo e Gusto Libero di Roma, portano avanti progetti innovativi di formazione e occupazione per detenuti, offrendo loro opportunità concrete di reinserimento. Con oltre 4.000 persone che usufruiscono di servizi residenziali e di reinserimento socio-lavorativo, la cooperazione sociale rappresenta un ponte tra il carcere e la società, contribuendo alla costruzione di un sistema penale che favorisca il reinserimento e riduca il rischio di nuove condanne.
Gian Maria De Francesco