Fini

L’amore è un sentimento involontario. Ne conveniamo. Ma ciò non significa che non sia rivelatore. E’ senza dubbio inopportuno colpevolizzare lo scornato del caso per essersi innamorato di un coglione integrale o di una diabolica megera, ma lo si può pesare, stimare. Se poi è un politico di professione, si ha il dovere civico di farlo. Un governante va osservato, in filigrana, anche attraverso le relazioni più intime. Non esclusivamente da quelle che interessano il trastullo, come impone la pruderie abituale ai repressi dell’etica e ai castrati dell’intelletto; bensì da quelle che espugnano e costringono alla resa il cuore, perché il cuore può suggestionare integralmente la condotta di un individuo.

 

Un fenomeno che fu esemplificato – fra la farsa e il dramma – dal caso di Federica Guidi. L’idea che una donna, un ministro della Repubblica, fosse a tal punto succube di un tronfio personaggio come quel Gemelli, fece del male agli animi sensibili. La pena che si poteva provare per la povera infatuata raggirata, tuttavia, si sgretolò rapidamente innanzi alla consapevolezza di scoprirsi governati dai sultani di Capo Murro di Porco, che rubavano un po’ di sviluppo economico alla Nazione per avere le camicie stirate di fresco.

 

Ciò ricordato, ristabilendo l’equilibrio fra i sessi come fra le pulsioni dell’arena politica, devo confessare che la mia residua fiducia in Gianfranco Fini si estinse quando mi resi conto che si era innamorato di Elisabetta Tulliani, ex compagna di giuochi dei Gaucci.

La fisiognomica non consente più di dedurre il carattere dall’espressione, l’indole dalle fattezze, ma se ancora lo permettesse, non sarebbe difficile riconoscere nella Tulliani l’epitome della mantide da sottobosco del potere. Almeno per una persona nel pieno possesso delle proprie facoltà. A proposito dell’ex presidente di AN, dunque, per quanto ne rimpiangessi preventivamente un talento retorico con pochi eguali e un physique du rôle da statista autentico, ogni valutazione intellettuale si squagliò di fronte a questo azzardo del cuore; azzardo che andava oltre la fisiologica e consueta traiettoria di un infigamento passeggero, per farsi consapevole scelta di vita. E provavo intenso imbarazzo nel vederlo immortalato al braccio della nuova compagna ufficiale, perché mi suscitava l’immediato effetto di uno spettacolo di ventriloquia per adulti. Ci aveva visto giusto Vittorio Sgarbi in un’intervista del 2010:

 

«Fini è innamorato. Può essere un eccellente fidanzato, ma non un leader. Se diventi il compagno stabile della Tulliani dimostri di non capire la natura delle persone».

 

Le maldestre manovre politiche degli anni passati come gli scandali da traffichino (consapevole? Inconsapevole?) deflagrati nella recente indagine per riciclaggio al fianco della famiglia Tulliani, nascono da questo peccato originale del discernimento. Fini non è un bandito, né un grossolano faccendiere. E sicuramente non è profilo da slot machine. Ma se hai la facoltà di provare una concupiscenza sentimentale a tal punto azzardata e l’incapacità di governarla, o sei portatore di handicap nella facoltà di giudizio, oppure sei tiranneggiato da passioni di conio tarocco; in ogni caso hai un metro di pelo muschiato sul cuore come sullo stomaco. E questo per un politico è collocante.

 

 

 

 

 

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