Puritani da Oscar
Possiamo definire la molestia? E’ qualcosa di oggettivo o di soggettivo? Forse di oggettivamente soggettivo? Come ben sanno i lettori di questi quaderni, da molti anni porto a spasso quel genere di corpo che eccita ambo i sessi: una dannazione. Quindi anche banali corsette in calzoncini corti mi procurano spiacevoli esperienze, fra occhiate predatrici, commenti scostumati e sonore zufolate di cupidigia. Tuttavia, anche quando mi sento violato dagli sguardi e dalle interiezioni altrui, non mi risolvo a denunciare… perché credo che il confine sia stabilito dal contatto fisico. Mi rendo conto che si tratta di una semplificazione arbitraria, e come tale va costantemente rimessa al vaglio della ragione. In passato, fra questi pensieri, avevo già segnalato come vi sia una maniera infallibile per sapere se una donna è ben disposta verso la vostra simpatia: fare attenzione a quanto e come vi tocca. Nel caso i contatti siano immotivati, impercettibili e quasi involontari… una bottarella complice, un’aggiustatina al bavero, alla cravatta, una gomitatina indispettita… beh, c’è trippa. Certamente anche se vi cala le brache e vi fa una pugnetta al bancone del bar, è ben disposta. Ma quando vi macerate nel dubbio, e non sapete con certezza se la bella colombella ci sta – magari perché i suoi commenti sono contradditori, le parole nebulose, bionde tinte – osservate il linguaggio non verbale e capirete tutto. Un’indagine che vale anche al contrario, benché l’uomo sia spontaneamente più incontinente nella fisicità degli approcci, ma non tanto da annullare l’osservazione. Tutto ciò per dire che il contatto fisico è un linguaggio e come tale va interpretato. Si può dunque sussurrare, si può parlare apertamente e ancora offendere. Come nel linguaggio verbale, molto dipende dall’interlocutore, poiché c’è chi pretende schiettezza, chi preferisce un’interazione più formale e chi si fa il segno della croce alla prima parolaccia.
In questi ultimi mesi viviamo nella paranoia della molestia, importata come tutto il resto dal puritanesimo anglosassone, più specificamente dalla secolarizzazione laicista della teocrazia calvinista coloniale. Il Verbo del vangelo corretto ormai da lustri ci fa vivere in atmosfere da Lettera scarlatta, da processo alle streghe di Salem, dove al senso di colpa cattolico – massimo propellente per il godimento, da cui si evince il genio di Santa Romana Chiesa – come catarsi spirituale universale si è sostituita l’accusa, lo sdegno, il dito puntato, infine il patibolo purificatore. E noi esistiamo torchiati, schiacciati fra l’integralismo islamico e il dogmatismo laicista-moralista. Fra l’avvocato egiziano che ritiene dovere patriottico violentare le ragazze vestite in maniera licenziosa, e i liberal occidentali per cui una donna può anche schiaffeggiarti con le puppe, ma guai a te se la sfiori, lurido maiale sessista, al rogo, al rogo! Dipendenti precarie molestate quotidianamente da ritmi di lavoro insostenibili, da mansioni mortificanti, da paghe umilianti, con prospettive di vita avvilenti, impugnano l’esecrazione solo se vengono sfiorate sotto la gonna. Ora, non è mia intenzione sminuire i lubrichi approcci sessuali di un superiore a un subalterno, femmina o maschio che siano. Se il capo della mia compagna provasse a interpretare Er Manazza, scivolando sulle natiche scolpite da Prassitele dell’amata, sarei il primo a contattare quell’albanese che mi deve un favore, conosciuto nel quartiere come l’Ivo Carlovic del cric. Il sistema fallocentrico che Weinstein ha reso colossal, ma che vale anche nei teatri di serie B, nelle redazioni dei giornali di provincia o negli studi assicurativi più anticoncezionali, fa ribrezzo, schifìo. Niente di nuovo, naturalmente. Specie per il milieu dello spettacolo. “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli con Stefania Sandrelli raccontava già tutto quello che c’era da sapere. Ciò che è cambiato risiede nel dispaccio dell’emancipazione, che intende detonare senza cautele e con avventatezza ostentatamente provocatoria la seduzione… gridando poi “al fuoco, al fuoco!” quando tutto salta per aria. Il pericolo per l’uomo è il comportamento rapace, irascibile; per le donne quello concupiscibile, la volontà, conscia o inconscia, di sedurre. E basta fare un giro sulla bacheca di Diletta Leotta per comprendere quanto questo pericolo sia presente e sempre sul punto di deflagrare. Ma noi neghiamo tutto questo per poi vivere il palpito malverso di gridare allo scandalo. Noi abitiamo un mondo dove un pedofilo che ha ripetutamente violentato una bambina di seconda elementare può essere assolto per prescrizione, mentre un attore di smisurato talento artistico viene accusato a 30 anni di distanza per aver molestato un bimbominchia da fantascienza che si era chiuso nella sua stanza da letto… e ora rischia la carriera; una star costretta ad appellarsi all’omosessualità (ma non si predicava la parità?) e alle violenze di un padre nazista per sfangarla. Eppure niente… premi ritirati, serie tv annullate, immagine compromessa per sempre: Oscar al puritanesimo per la miglior sceneggiatura non originale. Lo stesso goffo puritanesimo che costringe alle dimissioni il ministro della Difesa britannico Michael Fallon per aver accarezzato, durante un congresso dei Tories nel lontano 2002, il ginocchio della giornalista radiofonica Julia Hartley-Brewer. Robe da matti.
Matteo Renzi per tutta la campagna delle ultime primarie ha sventolato la parola merito, l’ha brandita come un pungolo; e io a Matteo ho sempre creduto. Perciò quando il nostro segretario trionferà alle prossime elezioni, e il merito con lui, sarò meritoriamente piazzato al posto di Beppe Severgnini. A quel punto non mi sentirei di escludere che una sbarbina saltasse fuori dal mio passato montando su tacchi Caovilla per accusarmi di averle sfilato le mutandine mentre prendeva appunti con una collega durante quella conferenza stampa sul cirage di dieci anni prima. E come potrei difendermi? Come potrei negare di averle proposto un cirage à trois? Dopotutto se osservate la fotina del mio avatar da lontano… vedrete un perizoma nero. Un caso? Cionondimeno, mi consolerei con un’ottima compagnia. Guardando a ritroso, infatti, si salverebbero davvero in pochi. I film di Luchino Visconti sarebbero ritirati dal commercio. “Il ginocchio di Claire”, capolavoro di Rohmer, verrebbe accusato di pedofilia e traviamento. Molti semplici piacioni di mia conoscenza, fra i quali alcuni di voi, farebbero intima conoscenza delle patrie galere. Il revisionismo perbenino riscriverebbe la storia e i destini di uomini e donne. La verità è che i riti dell’adescamento oggi somigliano alla viabilità. Mezzi sempre più esplosivi, prestazionali, accattivanti… in dialettica con limiti sempre più stringenti, contravvenzioni sempre più punitive. Collisione inevitabile in una sintesi cretina. Con la differenza che le auto e le moto puoi sempre portarle in pista, liberare la passione e scatenare il motore; con il sesso non è più possibile, perché spendere una sana domenica al postribolo ci è da tempo precluso. Struggenti ricordi quando papà, per festeggiare solennemente il mio quattordicesimo compleanno, mi portò in quel di Liegi a conoscere Clio la Cendrée – all’epoca in cui l’Europa era ancora luogo di fiammeggiante scambio culturale – fra i cui seni esuberanti e premurosi sono diventato uomo. Di questi tempi la cappa paranoide che ci occlude le stelle inaridisce ogni spontaneità, piega al calcolo, detta regole, per lo più sceme; demolita la prammatica del galateo – dove nell’autodisciplina si sublimava l’aspettazione e quindi il piacere – ha imposto un nuovo codice da inquisitori laici, che assassina il desiderio nel momento in cui cerca di amministrarlo. Si è quasi concretizzato l’orizzonte di Arancia meccanica, dove la brutalità e frustrazione sessuale del sistema erano molto più sinistre della scanzonata e virtuosistica violenza che volevano moralizzare. Perché abbiamo sostituito all’angelica malìa del peccato, che era pur sempre libertà… il gusto perverso e dispotico del castigo.