Ritratti: Enrico Mentana
Avevo in animo da tempo di «schizzare» i protagonisti delle nostre discussioni e da oggi armerò il pennello, sperando di non imbrattare la rispettabilità di nessuno. Trovo congruo esordire con Enrico Mentana, non tanto per le sue lodevoli e già lodate qualità professionali, ma come riccioluta allegoria della Reazione dell’informazione. Reazione in senso politico. Anche un sordocieco è infatti in grado di individuare lo sterquilinio che la democrazia non riesce a nettare, neppure con lo spurgo delle elezioni, anche solo per il tenace tanfo che emana. Così come anche un bambino populista sa che lo scoreggione è sempre il primo a lagnarsi del puzzo… puntando subito il dito sugli altri.
Da quando il governo Pentaleghista è in carica, Mentana si è trasformato in bulletto multimediale. Duole rimarcarlo, ma è così. Il cui viscidume sui social è pari solo alla burbanza. La tattica retorica è banalotta, quantunque efficace: prende un’idea sana, che sbugiarderebbe la sua doppiezza se ben brandita, e la affronta solo quando a menarla per il web è un inetto integrale. Così l’inetto, con la propria inettitudine, delegittima l’idea sana, avvelena da sé il pozzo della verità senza che il sicario debba sporcarsi le mani, e quella malsana ne esce tronfia, trionfante. Il direttore del TG La7 lo fa con la tipica spacconeria del cyberbullo, che nel suo caso è alimentata dalla consapevolezza di avere una curva di ultrarealisti alle spalle a tifare per lui e menare ulteriormente, se necessario. Prendiamo un esempio quasi in tempo reale. Enrico insiste sul tema leggi razziali, di per sé impositivo, quasi inviolabile, che comanda un rispettoso silenzio:
«Sulla vicenda, di cui qui ho già parlato, della mostra preparata dai liceali del Petrarca di Trieste sulle leggi razziali del 1938, si registra a quanto pare un’apertura della giunta comunale a ospitarla in un luogo dal forte impatto storico, la Risiera di San Sabba. Spero davvero che vada così, con l’evocazione simbolica – nello stesso spazio – dei mezzi di emarginazione messi in atto dal regime fascista e quelli di eliminazione dell’occupante nazista: gli strumenti di legge in tempo di pace e di quelli di morte in tempo di guerra. Come tanti, spero, vorrei essere lì quando la mostra vedrà la luce».
Un po’ come mettere la foto di Falcone e Borsellino nello spazio dedicato all’immagine di copertina: simpatetico; onorevole; inattaccabile, soprattutto. Eppure la sensibilizzazione antirazzista non è solo frutto di un cuore palpitante, toccato sul vivo dalle discriminazioni di ieri – che non nego batta nel petto di chi scrive – ma anche di un affondo calcolato, lubrico, teso a far passare l’idea che il razzismo è ancora fra noi e le leggi razziali lì da venire; magari verso nuovi ebrei. Me ne frego di essere accusato di fare il processo alle intenzioni, le zaffate della propaganda le naso e non sbaglio mai. Come un sordocieco. Così troviamo l’ingenuo e utile lettore che replica parole di grossolana semplicità al padrone di casa: «Lasci la storia agli storici, abbandoni questa ossessione su avvenimenti di 80 anni fa, passi oltre e torni a fare il giornalista». Frase cretina, per come formulata. Eppure sana nell’intenzione. Il cui sottotitolo, scritto in una buonafede intellettuale che non è in grado di difendere se stessa, era: «Non cerchi di manipolare la realtà di oggi usando la eco emotiva di tragedie lontane. Faccia lo storico del presente, cioè il giornalista». Mentana ovviamente prende il pollo senza pietà e gli fa levare la pelle dal culo: «Imbecille, glielo dico di cuore». Così il malcapitato viene rosolato dalla comunità, con oltraggi tali da fargli rimpiangere l’imbecille inaugurale.
Un altro passaggio eloquente si era registrato pochi giorni prima. Questo lo status di Mentana:
«Il signor Pierre Moscovici è un importante commissario europeo, con delega agli affari economici. Oggi ha avuto una serie di uscite davvero infelici nei confronti del nostro e di altri paesi dell’Unione. “L’Italia è un problema per la zona dell’euro”, “Nella nuova Europa sovranista non c’è un Hitler ma tanti piccoli Mussolini”. Ma come si permette? Da quando ai membri della commissione di Bruxelles si dà il diritto di emettere giudizi da bar sul governo dei singoli stati membri? E che credibilità politica ha un commissario (peraltro espresso a suo tempo da un partito che ora secondo gli ultimi sondaggi vale il 6% dei voti dei francesi) che se la prende con forze che – piaccia o no – conquistano spazio in tutte le nazioni europee attraverso il libero voto? C’è da mettersi le mani nei capelli quando si vede che i migliori testimonial della propaganda anti-Ue sono proprio quelli che dovrebbero governare l’Unione».
Un passante replica così: «E da quando scrittori condannati di plagio, vignettisti, presentatori e intellettualoidi vari hanno il diritto di emessere giudizi da bar sul governo (democraticamente eletto) di uno stato membro?!». Ma con il guappo non si passa:
«Si chiama libera critica, cialtrone. Altra cosa sarebbe se i giudizi venissero da chi istituzionalmente deve rappresentare tutti. Ho l’impressione che per quelli come lei anche la chiacchiera da bar sia troppo impegnativa». E potrei proseguire a lungo.
In verità, lo sfarinarsi di un assolutismo – quello di regnare sull’opinione pubblica – sta mostrando la vera ghigna dell’informazione. Che cerca di restaurarlo con i suoi campioni più audaci là dove è stato perduto: sul web. Tuttavia, quel mazzo di ortiche sotto la coda che è la squalifica popolare e una certa inadeguatezza generazionale al medium non permettono la necessaria lucidità. Per cui Mentana pesta merde gigantesche come quella dell’uovo che colpì Daisy Osakue, circostanza nella quale si catapultò ad annunziare la deriva razzista prima ancora che alcuna indagine avesse acclarato dinamica, responsabili, moventi… venendo tosto smentito like a webete qualunque; e pochi giorni dopo, come niente fosse, lo ritrovammo a sventolare il vessillo dello Stato di Diritto – mantra autoevidente nelle sue intenzioni quasi quanto l’antirazzismo – quando era necessario difendere i migranti della Diciotti, accusando Salvini di surfare sull’onda dell’emotività: «Lo Stato di diritto non è uno stato d’animo». Aforisma involontariamente autoironico, che tuttavia mandò in delirio i suoi seguaci.
Cionondimeno, a Mentana va riconosciuta una paraculaggine certamente più evoluta della media degli zerbini alla Severgnini, il cui doppiopesismo fesso è talmente maldestro da renderli caricaturali. Barboncini di pensiero zazzeruti secondo i quali se si cercano soldi per gli italiani sotto la soglia della povertà è assistenzialismo, demagogia; se li si trova per i richiedenti asilo, è solidarietà, umanità. Eppure l’assenza di rigore logico, epifania di malafede, è celata con appena più cautela. Il nostro verga ancora su Facebook:
«Troppi ego e troppi conti da regolare”. Così, lapidario, Calenda sulla situazione del Pd, dopo il fallimento dell’ultima cena. E le lapidi si sa a cosa servono. Mentre Repubblica chiede a otto figure diverse cosa andrebbe fatto alle prossime Europee in funzione anti-populista. E ovviamente escono otto risposte incompatibili. Nel frattempo nessuno pare porsi la domanda su perché i resti di quello che fu 4 anni fa il più votato partito d’Europa precipitano ora in disordine e senza speranza nei consensi che avevano scalato con orgogliosa sicurezza. Eppure la democrazia senza il contrappeso di un’opposizione con le idee chiare è sempre più debole».
Qui Mentana traveste le sue intenzioni, rimesta le acque, di modo che il lettore medio pensi: «Vedi! Critica anche il Pd! E’ un giornalista equidistante». In realtà sotto la critica, in filigrana, c’è l’endorsement: «Senza il Pd la democrazia rischia grosso». Non faccio una pernacchia d’ascella per non svegliar il cane, ma fate come se. In realtà il giornalista milanese non difende il Partito Democratico in quanto tale, ma il groppo di interessi che lo ha reso possibile. Di fatto, oggi è l’informazione stessa ad aver preso il posto del Pd, a rappresentare la vera opposizione, non eletta democraticamente, a difendere quegli stessi interessi, che sono i propri: e lo fa con collera reazionaria.
Ma proseguiamo nella pantomima: a giudizio di Mentana se il Pd evapora come un puzzetta nel vento, si rischia l’assenza di un contrappeso necessario alla dialettica democratica. Quando Lega e 5Stelle cercano una sintesi fra posizioni diverse… invece? E’ caos populista. L’autorevole analista replicherebbe che l’opposizione ha il diritto di controbilanciare l’esecutivo, poiché tutelare le rivendicazioni delle minoranze è la sua ragion d’essere; mentre chi governa ha il dovere di trovare centratura nei propositi e nell’azione. In realtà, per le istanze vive della società, i contrappesi democratici sono proprio quelli che naturalmente esercitano Lega e 5Stelle all’interno del patto di governo. Il resto è il peto piddino che si dilegua. Chi è democratico con riserva, come me, può permettersi di liquidare così tutti quei pochi elettori che ancora agognano la Cena dei cretini di Calenda. Invece chi si professa democratico indefesso, sbrodolando bile e malignità sui leali sovranisti, meriterebbe di essere messo in mezzo a quei tanti, mentre pontifica sul loro becerume. Parafrasando Eco: Quando la minoranza sostiene di avere sempre ragione e la maggioranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia. Ma adesso la maggioranza ne ha i coglioni satolli e la democrazia, forse, si salverà.
Contemplando le cose con le natiche appoggiate sulla scrivania del mio studio privato – come Enrico ama fare con studiata piacioneria nel suo studio pubblico – ancor prima dei pelosi argomenti, è bene prestare attenzione alle parole. L’autorevole direttore che annuncia le notizie con irreprensibile distacco e terzietà, usa disinvoltamente «destra populista» ormai da mesi: «I populisti di Orban», «i populisti della Le Pen», «i populismi europei». «Populismo»… lemma intriso, impiastrato, madido di persuasione occulta. Se la destra è populista, la sinistra che cosa dovrebbe essere per dovere di equità? Perbenista? Parruccona? Che si aprisse il prossimo telegiornale con: «La sinistra perbenista rinvia la discussione sul segretario. Calenda annuncia sciopero della fame. Carofiglio poeteggia: non sono davvero qui, né altrove».
Quando abitavo in Piazza Mirabello andavo spesso a cena al ristorante La Libera di via Palermo. Ivi mi capitò di incrociare più volte Enrico Mentana e mi parve cisposamente simpatico, sollazzevole, un vero compagnone. Spero di cuore che il curriculum tempestivamente inviato sia bastante per essere assunto dal suo nuovo giornale.