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«L’unica cosa che funziona dell’Europa è la squadra di Ryder», scrissi il 28 settembre 2014, dopo il successo dei Blu a Gleneagles. Domenica Team Europe ha vinto di nuovo il massimo trofeo a squadre di golf, superando con irrisoria facilità il “Dream Team” statunitense. E’ il settimo successo nelle ultime nove edizioni per i giocatori del vecchio continente. E se l0 spettacolo tecnico è stato appannaggio dei soli appassionati, quello umano è arrivato a tutti, rinnovando, acutizzando la constatazione di allora. Un’Europa in festa, raggiante, unita nelle differenze. Un’immagine di conciliazione trionfante che ridicolizza il meschino recital della politica comunitaria: 12 ragazzi vincenti per le dodici stelle dell’Unione, eppure ciascuno con la propria bandiera nazionale al collo. E che Europa è quella del team di Ryder? Grigiastra? Burocratica? Valutaria? No, di uomini, di amici. E qual è stato il Tricolore sovrano nel cielo di Parigi? Quello italiano, che per una volta non ha spaventato i mercati. Perché il campione di questa affermazione, l’eroe di questa campagna, è stato Francesco Molinari. Maestoso, letteralmente infallibile durante tutti i tre giorni di gara, ha portato il punto decisivo per la vittoria di squadra, superando nettamente Phil Mickelson. Per ciò che ha mostrato in questo eccezionale 2018 – e più in generale nella sua carriera – dovrebbe essere portato in trionfo nelle scuole e nelle piazze, i padri dovrebbero ergerlo a esempio per la prole, le zitelle sognare di strapparlo alla moglie Valentina. Un ragazzo che incarna l’italianità più adorabile: umile senza falsa modestia, riservato senza essere disdegnoso, ambizioso senza rampantismi, fenomenale senza atteggiarsi a fenomeno; un gentiluomo. Quando lo intervistai, parecchi anni fa, per l’inserto sportivo dell’allora Monsieur, gli dissi che avrebbe vinto un Major: vaticinio che portò a una replica prudente, ma significativamente non arrendevole. Gli chiesi poi chi stimasse come più forte giocatore al mondo: «Tiger», mi rispose. «Inarrivabile». Beh, fra venerdì e sabato, nei doppi, Molinari ha battuto Woods 3 volte su 3, dopo averlo già superato all’Open Championship. E ha scritto di nuovo la storia – dopo essere stato il primo italiano a conquistare il Bmw PGA Championship, il primo a prevalere in un torneo del Tour americano e il primo ad aggiudicarsi un Major – come primo europeo di sempre a vincere 5 match su 5 in Ryder. Non è possibile paragonare con accuratezza ad altri sport quello che ha fatto il 36enne di Torino nella sua disciplina, ma per dare un’idea è come se un tennista avesse vinto in una sola stagione Indian Wells, Monte-Carlo, Wimbledon e la Coppa Davis. Un’epopea sportiva che sui quotidiani e nei telegiornali italiani, naturalmente, non è valsa un’occhiata di Marotta o una tamarrata di Balotelli.

 

 

Ma ciò che si è visto sul sontuoso percorso de Le Golf National è stato innanzitutto un affiatamento spontaneo fra culture, sincero, trascinante, dove la lingua franca dell’inglese lasciava spazio a esultanze e imprecazioni nelle lingue madri e al tifo anti-chauviniste dei francesi. Momenti come quello in cui il capitano Thomas Bjørn ha abbracciato come un figlio Thorbjørn Olesen, mentre il giovane lo ringraziava per avergli dato la possibilità di competere e vincere la Coppa… ci rimarranno negli occhi. Due danesi che hanno fatto garrire il cerchio d’oro su campo blu… ironicamente senza un Euro in tasca. Così nel cuore resteranno questi ragazzi che si abbracciavano come fratelli, fra lacrime di gioia e zingarate da swingmen della scuffia. Ubriacature di esultanza, di pacificata convivialità, lontane da quelle moleste di Juncker. Perché fuor di retorica, lo sport è riuscito dove una moneta ha fallito. Difficile immaginare un gruppo WhatsApp fra statisti e tecnocrati dell’Unione come quello fra i giocatori e capitani della Ryder Cup, e neppure sketch con Theresa May e Giuseppe Conte a letto insieme, gratificati dopo un glorioso amplesso negoziale, come quello, irresistibile, inscenato da Molinari e dal compagno di doppio Tommy Fleetwood, cazzomatto senza precedenti; ma sognare non costa nulla e per ora non fa salire lo spread. Dodici giocatori, un capitano, cinque vice: sette inglesi, tre svedesi, due danesi, due nordirlandesi, due spagnoli, un irlandese, un italiano, in Francia. Team Europe come club house degli Stati Uniti d’Europa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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