Ritratti: Marco Travaglio
«La tentazione comune a tutte le intelligenze: il cinismo…», scriveva Albert Camus. Grazie a Dio non sono molto intelligente e questo mi ha permesso di non cadere in tentazione, ma credo ci sia verità in questo epigramma. Come dev’essere difficile vivere da teste pensanti! Quanto deve rivelarsi arduo non cedere al cinismo in un mondo dove gli scaffali Feltrinelli affiancano le opere di Camus a quelle di Gianrico Carofiglio! Marco Travaglio è caduto in tentazione molto tempo fa e oggi, a quasi 55 anni, trasuda sabaudo disprezzo per ciò che lo circonda. In questo spazio mi occupo precipuamente di sberleffi, talvolta disincantati – ma mai cinici! – talvolta moraleggianti. Oggi è venuto il momento di un omaggio, senza eccessi di battimani o salamelecchi, perché anche lui si infila le button-down grigie e le giacchette in cotone délavé come Carofiglio. Di Battista l’ha definito “libero”, aduggiando il formicolare degli sguatteri. Ma non è esatto. Travaglio ha le sue catene: è infatuato della propria probità, mentre la rettitudine deve costare qualche sacrificio per essere autentica. In lui è invece un propellente sospetto, perché ne incendia la vanità. Purtuttavia, Marco è l’unico campione del giornalismo italiano. Non ha la penna del fuoriclasse, si è per anni accompagnato a colleghi disturbanti, ma quel suo eloquio fricativo, quel procedere paratattico, quel desueto piacere di sapere ciò che si dice, lo rendono speciale e oggi indispensabile.
Negli ultimi mesi, costretto a dialogare con scoreggine anti-governative e microbi del pensiero, è sembrato gigantesco: un’eminenza grigia, un titano. Anche la sua facondia saputella, schiettamente molesta e antipatica, talvolta nevrastenica, è ormai un contravveleno, un unguento da spalmare sulle piaghe di una verità flagellata. E se in privato si mostra capace di cedevolezza – almeno a giudicare dalle acconciature del figlio – in pubblico si manifesta come impenetrabile frangiflutti di fronte all’inondazione cortigiana. Vi porto allora una recente pagina di televisione che ne rimarca la necessità in un mondo deforme e paradossale, nel quale sono le Gruber, i Giannini e le Marianne Aprile che danno patenti di legittimità ai giudizi intellettuali; una straordinaria performance di autogoverno giocata sempre sul filo del vaffanculo che mi ha fatto salire sul divano alzando il cane per le orecchie come la Coppa delle Coppe. Ma so che Travaglio ci dividerà, quindi sentitevi liberi di esprimere le vostre riserve. Ne approfitto per augurare buon Natale a voi tutti, carissimi. Ci risentiamo dopo la Bonino.