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Nel settembre 2017 affrontai con tono scanzonato un tema inquietante. Rileggere oggi quel pezzo, così facilmente profetico, rende tuttavia sgradevole tale autoimposta leggerezza: la dignità delle vittime non l’ammette; il pericolo che corriamo, così subdolamente stocastico, così vicino al terrorismo per l’agghiacciante casualità che l’accompagna, la rende inopportuna. Se una ragazzina di Bolzano – la civilissima Bolzano, prima per due anni di fila in Italia nella classifica della qualità della vita, città natale di Dietlinde Gruber – viene presa per un braccio mentre torna da scuola alle due del pomeriggio e trascinata nelle frasche per essere brutalizzata da due “uomini di colore” non meglio identificati, l’orrore ottenebra ogni ironia possibile. Ma la segnatura dell’articolo di allora resta, anzi, acquista urgenza: i giovani immigrati che abbiamo accolto, per la stragrande maggioranza maschi nel pieno delle energie, ancora un poco boscherecci nelle costumanze, spinti da pulsioni primordiali niente affatto calmierate da un Super-Io impositivo, abbiamo intenzioni di farli accoppiare con chi, esattamente, quando persino le prostitute li rifiutano per elementare profilassi? L’integrazione passa anche, se non soprattutto, dagli abbracci. Qualche anima santa immigrazionista e femminista vede questi candelotti di dinamite che circolano per il Paese, si accorge almeno delle improvvise – e non più tanto sporadiche – deflagrazioni di libido e intende fare al più presto da artificiere… o dobbiamo aspettare che alle bambine torni la paura dell’uomo nero? E che molte ancora, dall’uomo nero, vengano prese?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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