IVAN PAVLOV

Siamo ammorbati dalla mistificazione sinistra. Ne discutiamo da che ne discutiamo. Ma fra i riflessi condizionati della cattività buonoide, dell’anti-pensiero ideologico, ve n’è uno in particolare che pare virale. Il campanello pavloviano faceva salivare il cane associando un suono al cibo, perché aveva abituato l’animale a vedersi servito appena dopo lo scampanellìo; quello rothschildiano fa salivare il progressista appena si associa uno straniero a un crimine, un immigrato a uno stupro; ma non di fame, bensì di rabbia. E il comportamento riflesso porterà ineluttabilmente all’atteggiamento di cui avevo già accennato ne “La bertuccia progressista”, sempre uguale a se stessa: «Perché, gli italiani non delinquono?!? Non importa nazionalità, colore della pelle, sesso, cultura o religione: un criminale è un criminale! Lo volete capire, razzisti che non siete altro?!?». «Sì, giusto! Guardate quanti stupratori e assassini ci sono fra di noi! Perché di loro non parlate mai?!». «I fascisti razzisti sanno puntare il dito solo contro gli africani, ma noi, noi abbiamo creato la Mafia e l’abbiamo esportata in tutto il mondo!». Nella prevedibilità di queste pestifere incontinenze verbali, di queste reazioni involontarie, condizionate, eterodirette, vi è la bava intellettuale della cattività ideologica. Dove l’idea totalitaria (siamo tutti uguali) nega la libertà del reale (siamo tutti diversi) istituendo una rappresentazione di potere.

 

Nella realtà, infatti, un criminale non è assiomaticamente un criminale, perché il crimine – come il peccato – non è affatto un dogma universale, bensì un giudizio di valore, che si modifica attraverso le epoche e lungo le culture: indagando l’etimologia della parola si ritroverà cernere, ovvero separare, distinguere, giudicare. Scriveva Pascal: «Tre gradi di latitudine capovolgono tutta la giurisprudenza, un meridiano decide della verità. In pochi anni di dominio le leggi fondamentali cambiano, il diritto ha le sue epoche, l’entrata di Saturno nel Leone segna l’origine del tale crimine. Ridicola giustizia, delimitata da un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore al di là». Di qua dal Mediterraneo lapidare un’adultera, per esempio, sarebbe un crimine efferato contro la legge degli uomini e delle donne come contro le legge del nostro Dio, perché «chi è senza peccato scagli la prima pietra»; al di là del mare, in altre comunità, è invece un diritto e un dovere, di fronte agli uomini e di fronte a Dio. Così può capitare che in Somalia, sotto il cielo della legalità e della santità, una bambina di tredici anni venga lapidata allo stadio di fronte a una folla festante. Quindi soltanto una bestiola che ha formato le proprie convinzioni sotto regime di cattività ideologica può affermare “un criminale è un criminale!”, poiché nella dimensione multiculturale che lei pensa di rappresentare colui il quale è per noi un fuorilegge e un peccatore – o addirittura un mostro – per altre genti è un buon fedele, ovvero un onesto cittadino («Il Profeta diede allora l’ordine che entrambi fossero lapidati»). E queste genti sono fra noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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