pol04f1-9907326f1-12-u430605845976550ce-u4328065812383785h-1224x916-corriere-web-sezioni-593x443

Come queste pagine hanno più volte rimarcato – forse ingenerosamente – i “bobo” italiani sono una ghenga di repellenti e pretenziosi inetti. Tuttavia capita di incrociare anche qualche raziocinante gentiluomo. E’ il caso di Paolo Mieli, per esempio, o di Ferruccio de Bortoli, che seguo da anni con interesse e di cui ho letto il recente “I giovani invisibili d’Italia”. Ferruccio – già dal nome, dall’acconciatura, dal raffinato rotacismo e dalla stanghetta degli occhiali portata alla bocca con fare meditabondo – è un bourgeois-bohème autentico, per cui gli va assegnata un’autorevolezza sconosciuta a molti puzzacchiotti colleghi di salotti. Tuttavia fatico a comprendere quale possa essere la sua idea di società, la sua “vision” – come amano scrivere gli addottorati alla Columbia – che dovrebbe poi essere comune all’intellighènzia liberal intercontinentale tutta. De Bortoli è allarmato dalla svelta fuga di giovani che si sta manifestando in Italia: nel 2018 sono andati all’estero ben 120mila ragazzi, ci rammenta. «In altri tempi avrebbero manifestato in piazza, mentre oggi se ne vanno silenziosamente», sottolinea Ferruccio. L’Italia invecchia e i migliori talenti scappano alla chetichella. L’ex direttore del Corriere si lagna fugacemente anche del fatto che, per sostituirli, importiamo immigrati poco qualificati, con una quota di laureati fra le più basse d’Europa. Un’emergenza italiana, insomma.

 

 

Benché l’autorevole giornalista affermi argomenti incontrovertibili, sono confuso, quasi allocchito. Ma non eravamo tutti europei e come centinaia di milioni di nostri compatrioti non pensavamo che l’Europa fosse il nostro destino, il nostro progetto e la nostra speranza? Gli Stati nazionali non rappresentavano un retaggio medievale, impregnato di istinti belligeranti? La generazione Erasmus non ci aveva fatto comprendere come l’Europa fosse l’orizzonte naturale dei nostri ragazzi, che fra sudate carte, sbronze e scazzottate, sognavano e sognano un romanzo di formazione senza confini? Mi pareva questa la “narrazione” ufficiale, come ama dire il dandy di Durazzo. Non è dunque normale che una comunità dal piglio cosmopolita si compiaccia del dinamismo dei propri ragazzi, capaci di garantire ai propri talenti la cittadinanza del mondo? E poi sui migranti: pensare di selezionare un insediamento qualificato puzza di apartheid. Vogliamo fare un test di ingresso a chi si è appena lasciato alle spalle l’inferno? Vogliamo chiedere a un nigeriano appena sceso dal barcone quante lingue parla, che percorso accademico ha svolto, se sa maneggiare una brugola? Non mi pare la via giusta per restare umani. Domando dunque a Ferruccio de Bortoli e a chi ne condivide il sentire intellettuale: non trovate sia un approccio biecamente sovranista?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tag: , , ,