Dove e come lavorano i cinesi a Milano? Dopo la tragedia di Prato, l’Italia ha aperto gli occhi (in ritardo) sulla realtà dei cinesi ridotti a schiavi in dormitori-capannoni. Eppure il fenomeno riguarda anche Milano, come tanti fatti di cronaca hanno dimostrato anche di recente. Enrico Silvestri lo ha raccontato sul “Giornale”.

La Polizia interviene con un sequestro a Milano

 

 

 

Magari non saranno ancora milioni, ma sono mercanti intraprendenti, abilissimi artigiani e operai instancabili e il loro impatto sul tessuto economico è fortissimo. Tanto che oggi pur rappresentando ufficialmente il 5 per cento degli immigrati in città, sono titolari del 20 per cento delle attività gestiste da stranieri. La loro specializzazione rimane il commercio, il tessile e la ristorazione, anche se la vera sorpresa sono i bar: attualmente circa 500 a Milano hanno per titolare il signor Hu, la signora Chen o il giovane Zhou.

Partiti negli anni Venti dallo Zhejiang, provincia orientale affacciata sul mar Cinese, iniziarono a girare le strade d’Italia con cravatte da vendere «a una lila». Una presenza discreta, rimasta sotto le duemila unità fino 1981 ma decuplicata nei successivi dieci anni, per toccare poi le 100mila nel 2003 e raddoppiare nel 2012. Milano ha seguito lo stesso andamento, i primi insediamenti in via Paolo Sarpi, ormai universalmente nota come Chinatown. Ma adesso che in città stanno raggiungendo le 20mila presenze, il 5 per cento dei circa 350mila stranieri regolari, si sono lanciati alla conquista dell’intera metropoli. La zona 9, Garibaldi-Niguarda, rimane il loro regno, dove rimangono concentrate circa un terzo di tutte le loro attività. Da qui l’espansione nelle zone confinanti, come la 8 (Fiera, Gallaratese, Quarto Oggiaro) e 2 (Centrale, Greco, Turro, Gorla, Precotto, Bicocca), dove si concentra un altro terzo delle imprese. Poi la zona 3 (Porta Venezia, Città Studi, Lambrate) con il 12 per cento, e via via a scendere fino al centro storico, dove non si arriva ai due punti percentuali. Dati confermati scorrendo il rapporto annuale della Camera di commercio aggiornato al 31 dicembre 2012, che individua le aree dove viene registrata il maggior aumento delle nuove aziende orientali: Villapizzone, 10 per cento in più rispetto al 2011, poi Sarpi (8%), Quarto Oggiaro, Affori, Dergano e Loreto (6%), Padova (5%).

Qualche curiosità se si scorre la ragione sociale delle 2.800 imprese, pari a circa il 20 per cento delle 14.818 gestite da stranieri. Perché se saldamente al primo posto troviamo il commercio, ingrosso e dettaglio, con oltre mille aziende, e al secondo i «servizi» con 777, scomponendo quest’ultimo dato scopriamo che contro i 270 ristoranti, ci sono ben 490 bar. Una vera esplosione che riguarda non solo le tradizionale zone 8, 9 e 2, ma l’intera città. Sorprendente anche il boom di «attività per la persona», ben 410, di cui 168 parrucchieri e 164 centri massaggi. Anche se è ben noto come questi spesso nascondano case di piacere, dove il «massaggio» non è proprio fisioterapico. Infine l’ormai «terrificante» attività manifatturiera, quasi tutta concentrate sul tessile, 265, e pellami, 69. Qui si concentrano le maggiori aree di sfruttamento, intere famiglie costrette in cubicoli dove mangiano e dormono, in condizioni di sicurezza spaventose, con impianti fuori norma. Vere «bombe» in grado di esplodere in ogni momento, come a Prato, con serio rischio per l’incolumità dei lavoratori cinesi. Ma anche dei vicini italiani.